Il retroscena
Fazzolari trasformerà Palazzo Chigi nel comitato elettorale di Meloni. Obiettivo: 30% alle Europee
Dietro la nomina del sottosegretario a coordinatore della comunicazione c'è la volontà della premier di spingere ancora di più l'attività del governo. I timori di Lega e Forza Italia: "È un tipo pirotecnico"
Palazzo Chigi diventerà un comitato elettorale permanente con vista sulle Europee nelle mani di Giovanbattista Fazzolari, braccio ambidestro di Giorgia Meloni. Pronto a dettare la linea e i tempi delle scelte politiche del governo. Tra propaganda e provvedimenti dell’esecutivo. La nomina a coordinatore della comunicazione del sottosegretario-ideologo-ghostwriter è solo – si fa per dire – l’ufficializzazione di un ruolo che “Spugna” ha sempre portato avanti da quando i patrioti sono alla guida del paese. Con la differenza – come svelato da questo giornale – che dal primo settembre l’incarico sarà ancora più ufficiale. La difesa a oltranza di Kyiv (dettaglio di gossip: “Fazzo” ha anche una compagna ucraina, Dorota), l’affidabilità mostrata all’America (“agli occhi degli Usa, del deep state, dell’omino della Cia”, disse a questo giornale), il Piano Mattei e le strambate a mercati aperti sulle banche. Tutto è passato da lui finora. E continuerà a farlo con maggiore intensità con il governo e Fratelli d’Italia che diventeranno un amalgama. Obiettivo: sfondare il muro del trenta per cento alle elezioni di giugno. Quelle che decideranno il peso di Fratelli d’Italia a Bruxelles. E’ la missione affidata a Fazzolari, l’amico geniale di Meloni, il sintetizzatore: in arte “Spugna”. “Preparato, con le sue idee a volte un po’ pirotecniche”, dicono al Foglio i vertici di Forza Italia. E proprio nell’aggettivo pirotecnico (bum!) si nascondono i timori degli alleati della presidente del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Il partito fondato da Silvio Berlusconi e la Lega sanno che dovranno distinguersi nei prossimi mesi per non farsi fagocitare alle urne e non passare dopo l’otto giugno da camerieri. Il Carroccio cerca spazi a destra di Fratelli d’Italia, gli azzurri cercano voti al centro in nome di “più impresa e meno stato”: da qui la campagna di Tajani per le privatizzazioni (si inizia con i porti). Una competizione che passerà da una manovra parca di risorse, ma con molte bandierine da piantare. Ecco, il ruolo di “Fazzo” – l’antifrancese, nonostante gli studi allo Chateaubriand e la passione per Hugo, ma anche il figlio di un diplomatico che non ama la mediazione – servirà a questo: a costruire il comitato elettorale del governo.
Per Meloni è la “persona più intelligente che abbia mai conosciuto”, per gli alleati è un petardo pronto a esplodere. Fazzolari in questi mesi ha fatto asse con il capo di gabinetto Gaetano Caputi, alimentando allo stesso tempo le voci di corridoio (chissà quanto ingigantite) di un dualismo con il felpato Alfredo Mantovano, sottosegretario di grandi relazioni e codici. “Giorgia – raccontano dalla Fiamma magica – tra i due non avrebbe dubbi su chi scegliere: uno è suo fratello, l’altro è una persona competente che le serve”. Il primo è lui: Fazzolari, creatore del centro studi di Fratelli d’Italia, mente del programma. Prima del partito, poi del governo. Destra sociale e sovranismo in purezza, spruzzate di complottismo sulle banche, in passato battaglie contro il Green pass e timidezza sui vaccini: sempre tutto ragionato (a modo suo) secondo una coerenza ideologica che sembra inscalfibile. Così Meloni stringe il cerchio. In un duplex con la nomina della sorella come responsabile della segreteria politica. Anche in questo caso è un messaggio da dare all’esterno perché il peso di Arianna in Via della Scrofa è noto anche ai muri. Nell’ansia di controllo della premier, la sua presenza è fondamentale. Serve anche per frenare il fisiologico dinamismo di un partito che ha avuto una crescita esponenziale in breve. E dunque non ci sono solo i Gabbiani di Colle Oppio da tenere a bada (una decina di parlamentari legati a Fabio Rampelli, meloniani come tutti, ma critici sulla conduzione interna). C’è anche Giovanni Donzelli, uomo macchina del partito, anche lui meloniano – ci mancherebbe – ma in grado di costruirsi con il tempo una rete di parlamentari che a lui è molto legati. E’ il caso di tutti gli eletti, fra Camera e Senato, in Toscana, terra donzelliana, ma anche di Augusta Montaruli e, raccontano, Carolina Varchi. Niente di strano, nessuna congiura. Ma anche queste dinamiche devono aver spinto “la capa” a dare i riconoscimenti formali alla sorella, nonché partner di Francesco Lollobrigida, ministro plenipotenziario a cui fanno riferimento gran parte delle truppe che siedono in Parlamento. A eccezione, certo, dei lombardi, da sempre feudo di Ignazio La Russa. Nessuno ha in mente scalate al partito, ma è “come in Argentina ai tempi del peronismo: c’erano diverse sfumature, ma erano tutti peronisti”, riflettono sempre dalle parti della Fiamma magica. E così serve Arianna Meloni. Che presto formalizzerà la squadra che lavorerà al suo dipartimento, comprensivo anche della delega al tesseramento. Il motto dunque non cambia: io, patria e famiglia.
Con tutti questi pensieri ieri Meloni è ritornata a Palazzo Chigi dopo le vacanze passate fra Puglia e Albania. Un’ora nel suo studio – con tanto di foto postata mentre prende appunti – per dare una rinfrescata ai dossier che l’aspettano. A partire dal Consiglio dei ministri di lunedì prossimo. Dalle opposizioni viene sollecitato il taglio delle accise, un’ipotesi su cui da tempo si fanno valutazioni su benefici e costi. Il sottosegretario leghista Claudio Durigon nei giorni scorsi ha prospettato la possibilità di “una prima limatina” usando il maggior gettito dell’Iva. Ma non tutti nel centrodestra sono d’accordo su questo intervento. Ieri la benzina è arrivata a quota 2,8 al servito sulla A21 Torino-Piacenza. Una voce femminile al piano nobile di Palazzo Chigi: “Fazzo, te ne occupi tu?”