Da Bruxelles ci spiegano perché dal mancato accordo sul Patto di stabilità l'Italia ha quasi solo da perderci
Il vincolo del 3 per cento resterebbe in vigore, la prospettiva di una procedura d'infrazione in primavera sarebbe più concreta. Nessuno spazio di manovra in più Ecco perché se sabotasse l'intesa sulle nuove regole fiscali, Giorgetti avrebbe ancora più difficoltà a fare la legge di Bilancio
I margini del dubbio e quelli della spesa. “Per quanto riguarda l’ammontare della manovra, dipenderà anche da fattori europei, visto che a metà mese discuteremo, forse trovando un accordo o forse no, sulle regole di bilancio europee”. Questo, due giorni fa, ha dichiarato Giancarlo Giorgetti. Per il quale, peraltro, “l’ipotesi che non si arrivi a un accordo è la più probabile”. Ora, a prescindere dall’esito del negoziato che verrà, c’è da chiedersi se davvero il mancato varo del nuovo Patto di stabilità, secondo la proposta avanzata dalla Commissione, possa modificare in maniera significativa i saldi di bilancio in vista della Finanziaria. Se, insomma, per il governo italiano il rinvio dell’intesa possa consentire maggiore spazio di spesa. Una prima risposta sta proprio nelle linee guida pubblicate da Bruxelles in primavera, in concomitanza con la definizione della proposta di riforma del Patto. Ebbene, il vincolo del 3 per cento di deficit in rapporto al pil sarebbe quello da tenere comunque in riferimento per gli stati membri, che dovrebbero indicare anche “come intendono perseguire una plausibile e costante riduzione del debito”.
L’Italia d’altronde, come confermano da Bruxelles, non potrà sperare in una proroga della sospensione della clausola di salvaguardia generale: la fase di “liberi tutti” avviata a marzo 2020. La clausola, ci dice un portavoce della Commissione, “sarà disattivata alla fine del 2023”. E questo a prescindere dal raggiungimento o meno di un accordo sul nuovo Patto di stabilità.
Un accordo che la Commissione, prosegue il portavoce, “chiede al Parlamento e al Consiglio europeo di definire il più presto possibile”. E però, nell’ipotesi che l’intesa non venga raggiunta, quali sarebbero i parametri con cui la legge di Bilancio italiana verrebbe giudicata da Bruxelles? Anche su questo, la risposta è chiara: in mancanza del nuovo Patto, i canoni di riferimento sarebbero anzitutto, ci viene spiegato da funzionari della Commissione, quelli inseriti nelle raccomandazioni specifiche fatte all’Italia, e inclusi poi in un documento ufficiale – lo “Spring package” del semestre europeo – pubblicato nel maggio scorso. Ed è un documento in cui le segnalazioni critiche sugli “squilibri macroeconomici eccessivi” e sulle “vulnerabilità connesse all’elevato debito pubblico e alla debole crescita della produttività”, in riferimento al nostro paese, abbondano. Nell’analisi della “situazione del bilancio dell’Italia”, la relazione concludeva che “i criteri del disavanzo e del debito non sono soddisfatti”, proprio in riferimento ai parametri del 3 per cento che il governo italiano contesta. E qui si arriva al passaggio più significativo, e forse più allarmante, del documento indirizzato a Roma. Quello in cui, proprio in previsione di un’eventuale mancata intesa, si prefiguravano conseguenze non piacevoli. “La Commissione – vi si legge – ha dichiarato che proporrà al Consiglio di avviare, nella primavera del 2024, procedure per i disavanzi eccessivi basate sul deficit in base ai dati di consuntivo per il 2023. L’Italia dovrebbe tenerne conto nell’esecuzione del bilancio 2023 e nella preparazione del documento programmatico di bilancio 2024”.
Insomma, spetterà al governo Meloni decidere se favorire l’entrata in vigore del nuovo Patto, oppure puntare a sabotare l’accordo. Quel che tuttavia appare evidente è che, nella stesura delle legge di Bilancio, l’Italia non avrà alcun vantaggio da un rinvio dell’intesa, anzi.