Il caso

Fitto: "Sul Pnrr tutto ok". Ma Meloni non si fida di Gentiloni: ossessioni e accuse

Simone Canettieri

Il ministro vola a Bruxelles e viene rincuorato sulla terza e quarta rata. Intanto nel governo continuano a diffidare del commissario italiano. Storia di luna di miele già finita

L’ottimismo della volontà e il pessimismo del complotto. Nonostante il viaggio a Bruxelles del ministro Raffaele Fitto “sia andato molto bene” per via “del clima costruttivo” che si respirava con i tecnici della Commissione a proposito della terza e quarta rata del Pnrr, a Palazzo Chigi continuano a vedere strane ombre. Nella testa della premier e di chi le sta vicino questi fantasmi che remano contro, che non fanno il bene della Nazione, che fanno politica hanno un nome e un cognome: Paolo Gentiloni, commissario Ue agli Affari economici. Tra ossessioni dettagliate dai fatti e letture un po’ paranoiche della realtà l’ex premier del Pd nel cerchio magico meloniano continua a essere visto come colui  che sotto sotto “ci sgambetta”. 


I due, la premier e il commissario, negli ultimi mesi si sono punzecchiati reciprocamente. Rompendo una tregua istituzionale che aveva messo alle spalle anni di violente accuse, specie da parte della leader di Fratelli d’Italia, sempre dalla comoda tribuna dell’opposizione. A giugno il salto di qualità nei rapporti di questa coppia romanissima, ma agli antipodi. Da una parte il discendente dei conti Gentiloni Silveri (nobili di Filottrano, Cingoli, Macerata e Tolentino), dall’altra la ragazza della Garbatella che sulla storia dell’underdog ha costruito prima una carriera e ora anche il successo. E comunque appena lui le ha detto di “correre sul Pnrr”, lei gli ha risposto “che  se si fosse vigilato di più in passato ora si farebbe più velocemente”. 


Per molti, l’ostensione di uno scontro rimasto per mesi nelle segrete stanze del governo (e non solo) è stato un punto di non ritorno fra i due. E quindi anche se la missione di Fitto a Palazzo Berlaymont con i comitati di politica economica e finanziaria è andata bene, la Fiamma magica che governa Palazzo Chigi continua a ripetere il motto di casa: “Nun fidamose” . D’altronde il commissario dice di fare soltanto il suo lavoro e non più tardi di due giorni fa ha ricordato alla presidente del Consiglio che dal Mes non si può fuggire e che la manovra dovrà essere light. Tuttavia i custodi del pensiero meloniano sono sempre pronti a saltare sulla sedia, quando sentono il nome di Gentiloni. E nelle occasioni più riservate non  risparmiano nemmeno paragoni inediti. Che suonano all’incirca così: parliamo meglio con Ursula von der Leyen che con Gentiloni, che pure è italiano e non tedesco, è lui il frenatore, l’uomo degli agguati. Lo accusano di essere il signor no, la manina invisibile che si nasconde dietro la cavillosità dei tecnici di Bruxelles che in questi mesi hanno fatto ballare la rumba sul Pnrr a Meloni. Come quando Fitto si affrettava a rimodulare i sette obiettivi richiesti dalla Commissione e subito la responsabile della task force per il Recovery, Celine Gauer, si affrettava a dire: bene, ora ce ne sono altri sette da rivedere. Tra leggende, complotti e banali tecnicismi lo scontro continua. A volte sotterraneo, altre pronto a esplodere come un geyser. Gentiloni ha detto che non si candiderà alle Europee e comunque da commissario rimarrà in carica fino alla fine del 2024.

Meloni non ci crede. E pare – ma chissà se è vero e cosa si sarà sentita rispondere – che si sia lamentata di Gentiloni anche con von der Leyen in Europa e con il Quirinale in Italia. E soprattutto chissà se le accuse che Meloni e i suoi collaboratori ritengono a prova di guanto di paraffina siano davvero fondate, visto che Gentiloni al contrario racconta che in questi mesi in più di un’occasione ha contato fino a dieci prima di rispondere al governo italiano per non ficcarsi in una polemica. Di sicuro, i rapporti sono quelli che sono. Eppure l’avventura europea di “Giorgia premier” lo scorso 3 novembre partì all’insegna del quasi “volemose bene” nella residenza dell’allora ambasciatore Pietro Benassi. Appunti e Valpolicella. Consigli e scambi di vedute tra il compassato uomo delle istituzioni e la marziana accolta a Bruxelles per la prima volta dalla porta d’ingresso. Un pranzo veicolato dai rispettivi staff, scrivevano le cronache di quel giorno, per creare una “sponda franca, ma collaborativa”.

Era la prima uscita internazionale della premier nei palazzi a cui aveva dichiarato guerra per una vita, finita tra le cortesie con Roberta Metsola, Ursula von der Leyen e Charles Michel. Sono passati dieci mesi, ma sembrano dieci anni. Ora le istituzioni europee sembrano “molto più umane” e alla mano a Meloni, al contrario di Gentiloni, tornato a essere uno di cui “nun tocca fidasse”.

Si prevedono mesi non banali tra questi due romani così diversi fra loro. Uniti da un piccolo dettaglio: la passione per i ristoranti di pesce di Anzio. Basterà? Sembra di no.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.