privatizzazioni
Su Mps il governo mostra di non avere una strategia condivisa
Visioni differenti non solo tra Lega e resto del governo, ma anche nella stessa Lega, partito del ministro Giorgetti. E il sottosegretario al Mef Freni suggerisce "meglio aspettare"
“Lo sapevo che sarei venuto fino a qua a fare il pompiere….”. Con un sorriso il sottosegretario al Mef, Federico Freni, risponde alle domande sulla privatizzazione di Mps che il Foglio gli ha rivolto a Cernobbio a margine del Forum Ambrosetti. Poco prima ha cercato di spegnere l’incendio provocato dalle dichiarazioni dei ministri Antonio Tajani e Adolfo Urso sulla necessità di accelerare l’uscita dello stato dalla banca senese, spiegando ai giornalisti che la fretta “non è una buona consigliera”, che bisogna andarci cauti perché si tratta di “una banca quotata, soggetta a vigilanza”.
In effetti, sul lago di Como è andato in onda un teatrino sul futuro di Mps che ha alimentato la confusione su una delle partite finanziarie più delicate che il governo Meloni ha in agenda, tant’è che il titolo Montepaschi ha fatto un tonfo in Borsa lunedì (-3,7 per cento) perché da tutto il gran parlare del weekend analisti e investitori hanno dedotto che lo stato non ha una strategia per dismettere la sua partecipazione del 64,2 per cento. Anzi, è evidente la mancanza di una visione condivisa sia nel governo sia nella Lega, che è il partito del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Ma Freni, per giustificare la sua cautela sulla vendita, si ferma a ragionare per alcuni minuti sui numeri. “Sa qual è il prezzo di carico di Mps?”, comincia lui con una domanda. A pensarci, c’è certezza sul prezzo che le azioni hanno in questo momento sul mercato, vale a dire circa 2,5 euro, ma non su quello a cui lo stato italiano le ha acquistate vari anni fa. “Glielo dico io, poco più di 6 euro ed è uno degli elementi che vanno tenuti in considerazione perché incide sul bilancio dello stato”. Il ragionamento di Freni sulla vendita del controllo di Mps è naturalmente a tutto tondo, ma insiste sulla differenza tra il valore di Borsa dei titoli e quello di carico, molto più alto. Il motivo è semplice: vendere a un prezzo inferiore a quello di carico vuol dire per lo stato azionista registrare una minusvalenza di qualche miliardo.
Una perdita, però, che il governo avrebbe già dovuto mettere in conto visto che solo qualche anno fa si è cercato a tutti i costi di convincere Unicredit a comprarsi la banca senese. All’epoca il valore di mercato era meno della metà di quello attuale e nessuno si preoccupava del prezzo di carico. “Ma le condizioni economiche di oggi sono diverse da quelle della trattativa con Unicredit”, riflette Freni lodando il lavoro dell’ad Luigi Lovaglio, il quale è riuscito a chiudere un aumento di capitale complesso e rimesso l’istituto nelle condizioni di generare profitti (anche grazie all’aiuto dell’aumento dei tassi d’interesse Bce).
Insomma, il senso del ragionamento del sottosegretario al Mef, che riflette evidentemente il pensiero del capo del dicastero e collega di partito, Giancarlo Giorgetti, è che i tempi della cessione di Mps dipendono da variabili esogene rispetto alla volontà del governo, il quale certamente deve e vuole cedere, anche per gli impegni in questo senso assunti in sede europea, ma non vorrebbe perderci. Per cui, a suo parere, “è meglio aspettare”. Il rovescio della medaglia di questo discorso è che quanto più si apprezza Mps in Borsa tanto più costosa diviene l’operazione per un privato che volesse subentrare al posto dello stato. Anche se, in verità, di investitori papabili all’orizzonte non se ne vedono. Quello che secondo l’opinione di diversi osservatori di mercato sarebbe il partner ideale di Montepaschi, vale a dire Banco Bpm, non perde occasione per ribadire la sua strategia “stand alone”, che nei fatti equivale a smentire qualsiasi interesse per Siena anche se la banca è risanata.
Ma se al governo si continua a litigare è ancora più difficile che qualche operatore bancario, nazionale o estero, si faccia avanti. La levata di scudi del leghista Alberto Bagnai di fronte alla fuga in avanti di Tajani (Forza Italia) e Urso (Fratelli d’Italia) con parole tipo “la vendita di Mps non è all’ordine del giorno” dimostra non solo che sul da farsi il governo è diviso, ma che all’interno del partito di Matteo Salvini la discussione è ancora apertissima e che la tentazione dello stato banchiere non è mai stata vinta