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L'errore di Schlein è cercare un modello tra le sinistre perdenti
Francia, Spagna, Germania: ovunque si guardi intorno, per la leader del Pd c’è un guaio. Eppure la questione sarebbe semplice, perché la sinistra potenzialmente vincente è proprio quella che la segretaria combatte. Spunti per una svolta possibile
Ovunque si guardi intorno, per Elly Schlein c’è un guaio. Non parliamo in questo caso del fronte interno, del confronto con Meloni, della difficoltà di mostrare al paese la presenza di un’alternativa reale in grado di impensierire una maggioranza scombiccherata. In questo caso voliamo più alto, per così dire, e voliamo fuori dall’Italia, voliamo in Europa, voliamo in Inghilterra, voliamo negli Stati Uniti, voliamo in Sudamerica. Ovunque si guardi intorno, per Elly Schlein c’è un imbarazzo. Un modello che non c’è. Uno specchio che non funziona come dovrebbe.
Prendiamo il caso della Francia. Martedì scorso, Schlein è stata a Parigi, lo sapete, ed è andata a caccia di nuove idee per il futuro. E in che modo lo ha fatto? Incontrando Olivier Faure, segretario del Partito socialista francese, e la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, la cui candidatura, un anno fa, alla guida dei socialisti ha permesso agli omologhi francesi del Pd di ottenere un risultato niente male: 1,75 per cento. Avrebbe dovuto forse fare uno sforzo in più, la segretaria, e bussare alla porta di Emmanuel Macron, per ragionare sulle europee, sul futuro dell’Europa, ma poi avrà pensato Schlein: un allegro e anti renziano partito movimentista come il Pd può permettersi di essere accusato di essere macroniano? A questo punto, meglio hidalghiani che macroniani. Meglio l’1,75 per cento. Altro giro altra corsa.
Dalla Francia ci si sposta in Spagna. E la situazione, se possibile, peggiora. Schlein, lo sappiamo, tifa fortissimamente per Pedro Sánchez e spera che alla fine la Spagna possa nuovamente affidarsi al leader dei socialisti, che cerca un mandato bis. Esiste un problema però: l’ago della bilancia, in Spagna, il leader decisivo negli equilibri della possibile maggioranza Sánchez è il più nazionalista dei partiti europei. E’, per capirci, il partito guidato da Carles Puigdemont, ancora inseguito da un mandato di cattura emesso dalla magistratura spagnola a causa del referendum separatista promosso anni fa, e che in cambio dei voti necessari per far nascere l’eventuale governo Sánchez pretenderebbe di ricevere l’amnistia. Problema: può la leader di un partito che ha trasformato la battaglia contro l’autonomia differenziata in un suo elemento distintivo sostenere un governo che nascerebbe grazie ai voti di un partito cento volte più nazionalista della Lega?
Ci sarebbe la Germania, come modello, come nuovo Eden del socialismo europeo, se non fosse che il governo guidato da Olaf Scholz ha appena regalato un altro dispiacere a Olaf Schlein. La leader del Pd era partita lancia in resta: sulle spese militari dobbiamo fare come la Germania, che non le vuole portare al due per cento del pil. Scholz non aveva mai detto nulla del genere. E non a caso giusto due giorni fa ha ribadito il concetto affermando, in un discorso al Parlamento, che il suo governo “continuerà a garantire, per le spese della difesa, una quota del 2 per cento del pil anche nel 2028, 2029 e negli anni Trenta”.
Guardi la Francia, e aiuto. Guardi la Spagna, e aiuto. Guardi la Germania, e aiuto. Guardi altri paesi europei, come per esempio la Slovacchia, e peggio ci si sente (il Partito socialista, guidato da Robert Fico, ha posizioni così oltranziste sull’immigrazione che non si capisce cosa ci faccia ancora nel Pse). Guardi gli Stati Uniti, poi, e scopri che Joe Biden sembra avere più punti di contatto con Meloni che con Schlein (vedi alla voce politica estera). Scendi giù per il Sudamerica e scopri che il socialista Lula, molto amato dal responsabile esteri del Pd Giuseppe Provenzano, ha sulla guerra in Ucraina le stesse posizioni di Marine Le Pen, di Donald Trump. E poi torni in Europa, arrivi in Inghilterra e scopri che l’unica sinistra al mondo a cui ci si potrebbe ispirare, l’unica in grado di poter vincere agevolmente le prossime elezioni, almeno così dicono i sondaggi, è quella inglese ed è quella laburista. Schlein e i suoi compagni di viaggio, in passato, avevano osservato con simpatia il modello Corbyn e, in passato, hanno sempre considerato l’Inghilterra come l’esempio giusto a cui ispirarsi. Ora però anche l’Inghilterra mette le vertigini al Pd di Schlein. Il leader del Labour, Keir Starmer, ha infilato nel suo governo ombra molti blairiani. Blair è tornato a essere, come direbbe l’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti, un punto di riferimento fortissimo del fronte progressista inglese. E il responsabile economico del Labour piuttosto che assecondare la retorica delle tasse da introdurre per combattere i ricchi ha detto che le difficoltà dell’Inghilterra, anche in termini di diseguaglianza, avvengono “non perché le tasse non sono abbastanza alte, ma perché l’economia non è cresciuta”.
Ovunque si guardi intorno, per Elly Schlein c’è un imbarazzo. Un modello che non c’è. Uno specchio che non funziona come dovrebbe. E chissà se le lezioni delle sinistre mondiali potranno essere d’aiuto alla leader del Pd per offrire all’Italia un’alternativa a una destra scombiccherata. Le indicazioni in fondo sono semplici: la sinistra che sogna Schlein è una sinistra strutturalmente perdente, la sinistra che combatte Schlein è una sinistra potenzialmente vincente. Cara segretaria: non sarà forse il caso di prenderne atto e di pensarci su?