Il racconto

Europa, orgoglio e vittimismo. La versione di Meloni all'assemblea di FdI

Simone Canettieri

La premier oscilla fra la convinzione di stare dalla parte giusta della storia e l'impressione che il botto sia dietro l'angolo: scene dalla riunione del primo partito italiano

Da Colle Oppio a Piazza di Spagna. “Eppure mi ricordo quando al congresso di Fiuggi, nel 2014, eravamo all’1 per cento. Adesso tanti parlamentari nemmeno li conosco”, dice  nostalgico e fiero Paolo Trancassini, coordinatore del Lazio e questore della Camera. Nel frattempo le auto blu scaricano la razza padrona in questo budello del centro storico che affaccia sul centro congressi, mecca meloniana. C’è la vecchia guardia e c’è chi è salito al volo sul treno. “Io parlo solo di cultura”, sentenzia il ministro Gennaro Sangiuliano a cui i cronisti non sanno cosa chiedere se non di Prezzolini. Ignazio La Russa è su di giri perché ha rinunciato a presiedere l’assemblea. Intanto il  fratello Romano – identico – viene scambiato per lui da un videomaker. Spunta Daniela Santanchè: “Io abito proprio a piazza di Spagna”. Tonnara.  Ma Giorgia? E’ entrata dall’ingresso posteriore, quello dell’Istituto De Merode. E all’uscita si mischierà con gli studenti, tutti in divisa, che stanno andando a casa. Un fotografo: “Ecco la Meloni insieme alla gioventù Balilla”. (Canettieri segue nell’inserto IV)     
    L’assemblea nazionale di Fratelli d’Italia dura meno di quattro ore. Fila tutto liscio, ovvio. Si decide che i congressi provinciali si celebreranno quest’anno e quello nazionale dopo le Europee. Si cerca inutilmente un guizzo per svoltare la mattina. Fabio Rampelli, arrivato in motorino, fa un discorso tondo, rivendica d’essere stato il cofondatore del partito, si scrolla l’etichetta di oppositore interno, elogia Arianna Meloni, la sorella maggiore della capa assunta al ruolo di numero due di Via della Scrofa (sempre in piedi, in un angolo del palco, al fianco di Patrizia Scurti,  factotum della premier) e dice che la conosce bene perché in passato fu  capo della sua segreteria per undici anni.  Giorgia Meloni lo applaude tre volte. 
Finito l’intervento il vicepresidente della Camera, con i bicipiti rilassati, scherzerà così: “Non faccio nessuna corrente, Giorgia ha sempre fatto parte della mia”. Ma è una battuta perché il clima qui è questo: memoria, orgoglio, cameratismo, un po’ di vittimismo e sguardo dai fatali Colli di Roma verso Bruxelles dove le alleanze sono tutte da costruire, dove la presenza di Marine Le Pen domenica a Pontida, alla festa della Lega,  non è proprio vista come una cortesia. 
Di fatto la premier e presidente del primo partito italiano apre da qui la lunga campagna per le Europee. “Con la cabeza fria e il corazon caliente” in un momento Raffaela Carrà.
Ma la questione è seria. Perché la presidente del Consiglio parla di “fango”,  addirittura di “dossieraggi” e di “campagne scandalistiche”. Difende la sua metà, Arianna, per il ruolo che è andata a ricoprire – responsabile del tesseramento e della segreteria politica – che è   militante da quando ha 17 anni. Un cronista impertinente domanda al sottosegretario Andrea Del Mastro: “C’è un bel clima qui, quasi familiare, no?”. Risposta: “Questa è una domanda miserevole”. Francesco Lollobrigida, ministro e cognato, è in prima fila al fianco di La Russa. E’ entrato dall’ingresso posteriore, quello del collegio della “mejo Roma”, così come la premier, e la di lei sorella, arrivata in scooter e sempre silente (chi la conosce dice che non si candiderà alle Europee, ma vai a capire). Da qui uscirà anche La Russa, che poi andrà a pranzo a Palazzo Chigi, presidente del Senato e  del gran rifiuto quotidiano. Anche se per esempio Chiara Colosimo, presidente dell’Antimafia, per motivi di opportunità ha deciso di non essere presente: “Oggi ho due sedute di commissione e sono arrivate le risposte al controllo preventivo. Ho promesso a me stessa indefesso lavoro  e quindi le priorità erano queste”. 
Guidano le parole di Meloni oggi, non c’è nulla da fare. Il suo continuo richiamo alle truppe a essere concentrate “per non godere del potere effimero”, ma anche l’ombra “di trappole e tentativi per disarcionarci”, conditi dall’immagine della “lotta nel fango”.  L’esaltazione della Nazione, come bene da perseguire. La chiosa è dell’iconico Lucio Battisti perché “questa non sarà un’avventura, non è un fuoco che col vento può morire”. La sala del centro congressi si spella le mani per gli applausi. Quello della premier, che governa tutti i gangli del paese con uomini e donne di sua fiducia, è un discorso da leggere anche in prospettiva. Contro la Fodria – che per Guareschi erano le forze oscure della reazione in agguato – esiste solo il basso profilo. Non fidarsi, andare dritti, far capire “ai preziosi alleati”, Lega e Forza Italia, che non devono fare gli scapestrati e destabilizzare il governo con una competizione interna.  Meloni oscilla fra la convinzione di stare dalla parte giusta della storia (“la sinistra esulta contro l’Italia, stappa bottiglie se cala il Pil”) e l’impressione che il botto sia dietro l’angolo. Che insomma il miracolo del suo partito possa finire. Puff: la carrozza che ridiventa zucca. Il sole giaguaro delle due non dà scampo. I vigili urbani proibiscono alle auto la tripla sosta in piazza di Spagna, specialità della casa: “Circolare, oggi non è giornata”.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.