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Il retroscena

Meloni pensa di candidarsi in Ue, ma ha un problema col Salvini elettorale

Simone Canettieri

La rincorsa tra la premier e il leader del Carroccio continua, soprattutto in vista delle elezioni europee. Se lui e Tajani decidessero di scendere in campo, anche lei si presenterebbe come capolista. Oggi l'incontro con Viktor Orbán a Budapest

“Giova’, chi prima di me?” Risposta: “Giorgia, c’è solo un precedente: Silvio Berlusconi nel 2009, quando da premier si candidò capolista del Pdl in tutte le circoscrizioni”. Nei giorni scorsi Giorgia Meloni ha chiesto una ricognizione a Giovanni Donzelli. Voleva sapere dal coordinatore di Fratelli d’Italia se nel recente passato altri premier in carica corsero per tirare la volata al partito che guidavano. Una volta ottenuto la risposta, la presidente del Consiglio  non ha aggiunto altro. D’altronde ne manca di tempo, ma anche no. Perché giugno è dietro l’angolo e la questione europea in primo piano.

Il ritorno di Mario Draghi, lo stop della Bce al decreto sugli extra profitti, l’asse francotedesco sui migranti... E poi ci sono gli alleati, Matteo Salvini e Antonio Tajani. Entrambi potrebbero correre il prossimo giugno per tirare su Lega e Forza Italia. Un rebus in più per la leader dei Conservatori che questa mattina incontrerà a Budapest Viktor Orbán, prima visita in Ungheria da quando è diventata presidente del Consiglio. Obiettivo: portarlo nei Conservatori dopo però un bagno di purificazione nel Danubio affinché cambi idea sulla guerra in Ucraina. 

Nella sindrome di accerchiamento che si respira a Palazzo Chigi si cerca un centro di gravità permanente almeno con gli alleati. Impresa non facile visto che la competizione interna è già partita. E domenica sul pratone di Pontida, con l’arrivo di Marine Le Pen, sarà ancora più evidente. Matteo Salvini al fianco della leader francese sarà pronto a dire concetti di questo tipo: “Chi vuole cambiare l’Europa e dire basta al blocco socialisti-popolari voti per noi. Basta con gli inciuci”. Un messaggio da far arrivare soprattutto dalle parti di Meloni che invece potrebbe unirsi con i suoi conservatori all’attuale maggioranza Ursula. Scenari e calcoli. 

E soprattutto marcatura a uomo. Così si guardano e si scrutano i tre tenori del centrodestra italiano. La premier aspetta e valuta qualsiasi ipotesi. Se si dovesse candidare capolista alle Europee in tutte le circoscrizioni – stile Cav. – rischierebbe di cannibalizzare e destabilizzare Forza Italia e Lega, se Tajani e Salvini non scendessero in campo. Al contrario se i due vicepremier decidessero di correre per Strasburgo, la presidente di Fratelli d’Italia si sentirebbe la mano più libera. Si valutano i pro e i contro. “Vincere bene, ma non stravincere. Affermare la nostra netta supremazia, senza passare da maramaldi piglia tutto”, è il paradosso intorno al quale si ragiona in queste ore in Via della Scrofa, quartier generale di Fratelli d’Italia. 

E’ ovvio che solo un vertice a tre, nel chiuso di una stanza, potrà risolvere la faccenda. “Matteo? Cinquanta e cinquanta: potrebbe candidarsi per tirare la lista oppure no. E’ indeciso”, raccontano al Foglio fonti leghiste di primissimo piano. Antonio Tajani, che vanta un curriculum europeo di primo piano, è ancora più titubante. Dentro Forza Italia c’è chi lo spinge verso la conta, ma queste elezioni per il ministro della Farnesina sono ancora più delicate in quanto le prime da leader di un partito orfano di Silvio Berlusconi: non proprio una passeggiata di salute. 

Se Meloni sembra intenzionata a fare di tutto per evitare che gli azzurri entrino in crisi, con Salvini la partita a scacchi è sempre in vigore. È una rincorsa continua, è tutto un prova a prendermi. Meloni fa un libro con Alessandro Sallusti? Salvini si butta sulla prefazione di una pubblicazione sul Ponte, il suo sogno in cerca di gloria e fondi. E anche ieri stesso copione: il vicepremier ha presentato alla stampa estera la festa di Pontida, la premier è andata da Bruno Vespa per inaugurare la nuova edizione della striscia Cinque minuti. Parlavano in contemporanea mandandosi dardi a vicenda. Soprattutto il leghista che è andato a testa bassa sui migranti. “Gli ultimi sbarchi sono un atto di guerra, la Ue è morta a Lampedusa, basta diplomazia, gli accordi di Tunisi non hanno funzionato”. Mitragliate salviniane che rimbalzano in un certo senso su Meloni, costretta dal ruolo ad avere una posizione più diplomatica. E dunque, spiega la premier nell’intervista a Vespa, la mossa di Francia e Germania sui migranti le era chiara e scontata perché “il movimenti primari sono il vero problema”. Sicché Salvini incendia e Meloni prova a fare il pompiere, senza dimenticarsi la sua ragione sociale. “Alle Europee supererò il 10 per cento”, dice il capo della Lega per darsi coraggio. “Un accordo con i Socialisti? Io non faccio queste cose con la sinistra”, risponde a distanza là premier, alludendo forse alla parentesi con il Pd del Carroccio ai tempi del governo Draghi. I duellanti si divertono così: a inviarsi a vicenda messaggi incrociati. “Spero che la maggioranza non disperda le sue forze in piccole beghe”, auspica la premier. Ma il valzer di Strasburgo è appena cominciato.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.