l'editoriale del direttore
Meloni, Salvini e l'antieuropeismo da Fracchia
Combatte le dittature vere (Putin). Finanzia con cifre record i paesi in difficoltà (l’Italia). Corregge gli errori del passato (Green deal). Perché non ci poteva essere un momento peggiore per tornare a essere contro l’Europa
Il mix è chiaro e la strategia pure: i problemi nel governare avanzano, le elezioni europee si avvicinano, il tuo compagno di banco sceglie di sfidarti sul tema del sovranismo, i tuoi elettori ti chiedono di trovare un modo per dimostrare di essere sempre te stessa, i tuoi follower mostrano una qualche nostalgia per il tuo antico approccio anti sistema e i tuoi spin doctor non trovano niente di meglio da proporti se non recuperare un po’ delle tue vecchie radici nazionaliste, suggerendoti di riavvolgere il nastro per tornare a declinare un po’ di sano spirito anti europeista.
Il mix è chiaro e la strategia di Giorgia Meloni e del suo compagno di banco Matteo Salvini pure: i margini difficili sull’economia, le difficoltà incontrate sul terreno dell’immigrazione, la scarsa possibilità che vi siano stravolgimenti nel governo europeo impongono al manovratore di trovare utili capri espiatori su cui scaricare i propri problemi. E dunque che c’è di meglio che puntare, come ai vecchi tempi, sull’Europa, brutta, cattiva, matrigna, taccagna? Nasce così il recupero della narrazione sovranista di Meloni e Salvini, che domenica a Pontida ospiterà nientemeno che la signora Marine Le Pen per scaldare la base, in attesa di un duetto con il generale Vannacci. E nasce così anche una domanda niente affatto scontata che Meloni e Salvini, forse, dovranno avere il coraggio di porsi nelle prossime settimane. Eccoci qui: e se fosse un pessimo momento per puntare sull’anti europeismo? Il discorso sullo stato dell’Unione pronunciato ieri da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha permesso agli osservatori di fare un bilancio di quello che è oggi l’Unione europea e di provare a mettere a fuoco un tema interessante: l’impossibilità da parte degli anti europeisti di ritorno di poter trovare un appiglio concreto per poter mobilitare la propria base contro quella che un tempo i nazionalisti chiamavano la dittatura europea. Un tempo c’era l’euro, lo ricorderete, e la lotta contro la moneta unica, per quanto dissennata, aveva una sua forza.
Era una battaglia chiara, tonante, pesante, portata avanti contro qualcosa di concreto. Oggi le battaglie combattute contro l’Europa sono più vaghe, sono più timide, sono più dimesse, anche se a parole sembrano roboanti, hanno queste caratteristiche per una serie di questioni utili da mettere insieme. Prima di tutto: come si fa a demonizzare la stessa Europa che ha stanziato 200 miliardi di euro per l’Italia? Difficile. Dunque bisogna dire che l’Europa è insieme benigna e maligna: con una mano ci dà i soldi con l’altra ci impedisce di spenderli. Non fa una piega, no? Il secondo punto è più sottile e fa parte di una indicibile consapevolezza assunta da una parte del centrodestra nel corso dei suoi primi undici mesi di governo: alcuni problemi dell’Italia effettivamente possono essere risolti rivolgendosi all’Europa ma al contrario di ciò che si sosteneva un tempo i problemi per essere risolti hanno bisogno non di meno Europa ma di più Europa.
Pensate all’immigrazione, per esempio, e pensate a come è cambiata, nei fatti, la narrazione del centrodestra: un tempo coinvolgere l’Europa sull’immigrazione era un segno di debolezza, perché coinvolgere l’Europa significava ammettere che l’immigrazione doveva essere governata e non fermata, oggi invocare l’Europa sull’immigrazione è un segno di forza, perché il problema dell’Europa non è la sua presenza ma semmai la sua assenza, la sua difficoltà a imporre la solidarietà tra i paesi membri a colpi di obbligatorietà non di volontarietà. Il terzo punto è quello forse più interessante e riguarda la difficoltà con cui i vecchi anti europeisti oggi possono provare ad accusare l’Europa di essere una fiera nemica della libertà. C’è stato un tempo durante il quale il populismo di destra affermava con fierezza che non esiste libertà senza combattere la dittatura dell’Europa. Oggi di fronte all’emergere di una vera dittatura nemica delle libertà, come quella putiniana, è difficile descrivere l’Europa come un covo di pericolosi nemici della libertà (secondo un calcolo dell’Economist, gli aiuti dell’Ue verso l’Ucraina, compresi gli impegni a lungo termine, sono cresciuti fino a quasi il doppio della somma stanziata dall’America, pari a 131,9 miliardi di euro dal gennaio 2022 rispetto a 69,5 miliardi di euro stanziati dagli Stati Uniti). Certo, si dirà, i punti fragili dell’Europa esistono, come per esempio il tema del Green deal, ma la verità di fronte alla quale si trovano oggi i populisti di ritorno in cerca di vecchie identità da rispolverare è chiara. Negli ultimi anni, il mondo che sognavano i nazionalisti è diventato un incubo (un mondo fatto di chiusure, di protezionismo, di isolamento). Mentre il mondo che i populisti consideravano un incubo è diventato un sogno (un mondo fatto di più Europa, di meno decrescita, di maggiore solidarietà tra gli stati). L’anti europeismo soft tornerà a essere un protagonista del dibattito pubblico italiano. Ma per essere anti europeisti – di fronte a un’Europa che difende la libertà, che stanzia soldi per i paesi in difficoltà, che prova a correggere i suoi errori, che lavora per creare un debito comune, e che offre soluzioni per risolvere problemi che i nazionalismi non possono risolvere da soli – forse non c’è mai stato un momento peggiore di questo.