l'editoriale del direttore
Più che un complotto, un auto complotto. Sui migranti è finita la pacchia
Urlare all’invasione fa vendere copie e muovere un po’ i sondaggi. Ma senza una terza via i due estremismi sull’immigrazione continueranno a vincere. Ascoltare Minniti
Più che un complotto, un autocomplotto. La postura assunta dal governo sul delicato dossier dell’immigrazione offre agli osservatori alcuni spunti di riflessione per provare a ragionare sul tema mettendo da parte due opposti estremismi (il fermiamoli tutti e l’accogliamoli tutti). Matteo Salvini, mercoledì, ha assicurato che c’è una guerra contro l’Italia (sul tema suggeriamo di fare due passi a Kyiv). E Giorgia Meloni, da giorni, cerca di trovare un modo per non regalare al suo compagno di banco la retorica anti europeista sull’Italia lasciata sola sui migranti. Gli spunti di riflessione sono legati ad alcune considerazioni semplici che partono da un dato di realtà difficile da negare. Il dato più importante è questo: Meloni e Salvini soffrono la pressione migratoria sull’Italia non tanto per i numeri degli sbarchi, che sono comunque rilevanti, quanto per aver educato i propri elettori a credere a una balla colossale. Ovverosia: dateci il potere e vedrete che di fronte a un governo che tratta l’immigrazione con serietà, con caparbietà e con durezza i migranti non arriveranno più. “Stop immigrazione”, è stato lo slogan di Salvini in campagna elettorale. “Blocco navale”, è stato l’approccio con cui Meloni ha provato a lungo a lisciare la pancia del proprio elettorato. Tesi: essendo il principale motore dei flussi migratori il “pull factor”, ciò che conta è avere un governo capace di convincere i migranti a non partire.
La realtà, come hanno scoperto Salvini e Meloni, è infinitamente più complessa. E nei suoi primi undici mesi al governo la maggioranza di centrodestra è stata costretta a fare l’opposto di quello che aveva precedentemente promesso. Ha chiesto un sostegno all’Europa per provare a stabilizzare la Tunisia (finora è andata male). Ha accettato di sfidare i propri storici alleati (l’ungherese Orbán e il polacco Morawiecki) firmando un accordo europeo sull’asilo e l’immigrazione (il grande successo rivendicato dal ministro Piantedosi era la libertà di dichiarare la Tunisia paese sicuro per rimpatriare migranti di altre nazionalità ma non si erano fatti i conti con l’inaffidabilità del presidente tunisino Saied). Ha iniziato a collaborare con le ong per salvare migranti in mare (anche con Open Arms, che ha mandato a processo Salvini). Ha accettato di rimettere in discussione la legge Bossi-Fini (per cambiare alcune regole di ingresso in Italia). Ha messo in campo il decreto flussi più importante della storia della nostra Repubblica (452 mila ingressi dal 2023 al 2025). La gestione della quotidianità imposta dalla pratica di governo ha mostrato con chiarezza al centrodestra nazionalista l’impossibilità di utilizzare scorciatoie populiste per governare fenomeni complessi come l’immigrazione e ha spinto Salvini e Meloni a compiere una serie di scelte necessarie per tentare di governare il fenomeno. Ciò che è necessario però non è sempre sufficiente e nel caso specifico dell’azione di governo ci sono diversi elementi che dovrebbero indurre l’esecutivo a evocare un autocomplotto interno più che un complotto esterno.
Primo: l’accordo in Europa spacciato come risolutivo è stato in realtà penalizzante per l’Italia (con il patto su asilo e migranti l’Europa ha promesso un po’ più di solidarietà, ma in cambio ha preteso molta più responsabilità per bloccare movimenti secondari: te ne prendiamo un po’, o ti diamo soldi, ma il resto te li tieni possibilmente in centri chiusi vicino al confine).
Secondo: la volontà di mantenere il regolamento di Dublino così com’è (il paese di primo approdo ha la responsabilità nella gestione del migrante) non ha coinciso con una politica di appeasement promossa dall’Italia con i paesi più investiti dal passaggio dei migranti nel nostro paese (se litighi con la Francia e non coltivi buoni rapporti con la Germania non puoi stupirti se poi quei paesi ti chiedano di prenderti i migranti irregolari arrivati dall’Italia).
Terzo: aver presentato l’accordo con la Tunisia come strategico per la risoluzione dei problemi ha creato aspettative non soddisfatte dalla realtà (a proposito di complotto: leggere il nostro editoriale a pagina tre).
Quarto: il fantomatico “Piano Mattei”, che avrebbe dovuto cambiare per sempre i rapporti con i paesi africani più vicini all’Italia, esiste solo sulla carta, nella pratica quotidiana è un fallimento (e la destabilizzazione dei paesi nordafricani e subsahariani non aiuta).
Quinto: sul fronte della redistribuzione obbligatoria dei migranti in Europa, l’Italia, pur essendo consapevole della necessità di questa svolta, non ha fatto passi in avanti concreti anche a causa dalla politica dei veti adottata dagli amici di Meloni e Salvini in Europa (citofonare Orbán).
Più che un complotto, dunque, è un autocomplotto. Ma una volta compreso che il blocco navale non si può fare (c’è il diritto del mare), una volta compreso che la politica dei rimpatri non funziona (ci sono gli accordi mancanti con i paesi di provenienza), una volta compreso che i nostri “son of a bitch” non fanno il lavoro che ci hanno promesso (vedi la Tunisia, vedi la Libia) e una volta compreso che i problemi complessi (come l’immigrazione) non possono essere affrontati con il metodo Vannacci (è un complotto, è una guerra, siamo sotto assedio). Una volta capito tutto questo resta la domanda: che fare di fronte a numeri sull’immigrazione che sono piccoli rispetto al resto d’Europa (in Italia dall’inizio dell’anno sono arrivati circa 100 mila migranti, in Germania dall’inizio dell’anno le sole richieste d’asilo superano quota 150 mila) ma che iniziano a essere grandi rispetto agli anni passati (tre volte in più rispetto al 2022) e che potrebbero essere solo la punta dell’iceberg considerando la condizione in cui si trovano il Centro Africa e il Nord Africa (terremoto in Marocco, alluvione in Libia, destabilizzazione in Tunisia, colpo di stato in Gabon e Niger, guerra civile in Sudan, gravi disordini in Mali)? Le risposte ci sono e sono due.
Punto numero uno: battagliare in Europa per ottenere un consistente finanziamento a fondo perduto per attrezzare al meglio le strutture che in Italia si occupano di accoglienza e integrazione (se non puoi rimandare a casa chi dovresti rimandare a casa, ovvero gli irregolari, devi trovare un modo per evitare che gli irregolari diventino invisibili e dunque clandestini e dunque possibili minacce per la sicurezza delle città).
Punto numero due: ascoltare Marco Minniti, ex ministro dell’Interno, quando propone di agire a livello europeo offrendo ai paesi di provenienza e a quelli di transito un accordo di questo tipo: quote europee. L’Europa si impegna ad accogliere un numero importante di migranti dai paesi africani, mettendo sul tavolo anche miliardi non vincolati alle riforme dei singoli paesi, e in cambio i paesi coinvolti nell’operazione si impegnano a lottare contro i trafficanti (se non si vuole far partire un barchino dalle coste non lo si fa partire), si impegnano a rimpatriare tutti gli irregolari che arrivano in Europa (cosa che oggi accade con numeri esigui) e si impegnano ad accettare di essere sostenuti nell’attività di monitoraggio anche dalle operazioni congiunte delle polizie europee. Urlare all’invasione, alla guerra, ai poteri forti fa vendere copie e fa muovere i sondaggi. Ma senza una terza via per governare i due estremismi sull’immigrazione il governo italiano più che denunciare un complotto dovrà rassegnarsi a vivere in ostaggio del suo autocomplotto. E’ finita la pacchia.