(foto Ansa)

il racconto

Vannacci Kundera. Sbarca a Roma e attacca i graffitari. E' già in crisi di creatività

Carmelo Caruso

Alla presentazione romana del suo libro, il generale dimostra già di non sapere più cosa dire. E alla domanda su quanto abbia venduto risponde sempre: "Non lo dico"

E’ vero. Lo hanno rovinato. E’ entrato nella terza età Saviano: genio letterario, riccone sbandato, talento esaurito. I giornali, le televisioni hanno già prosciugato Roberto Vannacci, il generale fenomeno che si veste come Gianfranco Fini. A Roma, al Centro Congressi Cavour,  sudava come Palla di Lardo, il soldato di Stanley  Kubrick. Si portava la pezzuola alla tempia, “scusate, il caldo”,  quando i giornalisti chiedevano: “Generale, ma si candida con la Lega?”. E lui: “Resto un soldato. Non parlo del mio incontro con Crosetto. Mi hanno bruciato in piazza. Bruciato”. Ha la crisi dello scrittore. Non smetteva: “Devo tutto a Repubblica e Aldo Cazzullo”. Saviano prima e ora Vannacci. Due scrittori consumati. Maledetti!

 

Davvero lo hanno bruciato. Chi credeva di aver trovato, e giustamente denunciato, una specie di generale omofobo, squinternato, ha in realtà mandato in combustione un militare che si era spurgato con la penna: “Ho cominciato a scrivere a gennaio ed era un libro destinato a pochi amici. Erano quattro ciance”. Voleva finire nel catalogo dei libri Scheiwiller, e invece manca poco e impaginano l’edizione tascabile e, a Natale, quella in carta di cotone giapponese. Annuncia: “Ho già firmato con un editore tedesco. Ma il testo sarà tradotto in altre quattro lingue”. Non riesce a essere più efficace e se ne accorge pure lui. Generale, cosa ne pensa del mondo Lgbt? Vannacci: “Oggi il problema sono i graffitari”. Generale, gli  sbarchi? “Nel libro non ho parlato di sbarchi”. Non è lui al contrario, ma le parrucche che sono venute ad ascoltarlo. C’è il consigliere comunale di FdI che gli stringe la mano e chiede la foto per il nipotino: “Generale, un onore conoscerla”. E’ venuta a sentirlo pure Maria Laura Rodotà, che è stata la Fausto Coppi del Corriere, la firma politica: eleganza e pedali. Insieme ci guardiamo e ci chiediamo: “Ma tu, il libro, lo hai letto?”. Questo libraccio, pieno di gaddismi alla cicoria, la verità è che non lo ha letto nessuno, come nessuno ha mai letto, per intero, i “Fratelli d’Italia” di Arbasino: “Ma come, non hai finito i Fratelli d’Italia di Arbasino? Ma scherzi?”.

 

Giuseppe, tecnico delle luci, ammette con voce squillante: “Mai letto Vannacci. E chi ha il tempo? Sono 397 pagine”. Costa ben 19 euro e sul bancone sta insieme ai libri di Gobetti, D’Annunzio, Gramsci. La ragazza, alla cassa, consiglia: “Ci pensi, magari lo acquista dopo. Nessun problema”. Più che la presentazione di un bestseller somiglia all’aperitivo con i vicini di condominio. Francesco Borgonovo, il vicedirettore della Verità, che doveva fare da moderatore del dibattito, si collega da una sorta di chalet. Forse è a Berna insieme a Marcello Foa, Peter Gomez e Giorgio Gandola. Il generale, sempre sudato,  con la camicia a righe, a chiunque lo ferma, e che vuole sapere quanti denaracci ha accumulato, dà sempre la stessa risposta: “Disconosco il numero delle copie rivelato, ma ringrazio  Pucciarelli e Cazzullo”. Si era parlato di 800 mila copie. Pucciarelli e Cazzullo sono ormai i suoi fantasmi, i giornalisti che lo hanno scoperto, i suoi agenti letterari. Prova a esorcizzare il successo: “Visto il polverone, forse non scriverei più”. Fa capire che finirà nascosto come  Kundera, magari a Parigi, ma per fortuna, prima che ciò accada, Francesco Giubilei, ex consulente del ministro Gennaro Sangiuliano, maieuticamente, lo intervista. Scomoda  “Arcipelago Gulag” perchè  oggi “siamo insieme  per ragionare intorno alla libertà d’espressione”. Accosta Vannacci a Roger Scruton: “Tante persone che hanno criticato il generale hanno estrapolato i suoi pensieri come hanno fatto con Scruton”. La moderatrice rimasta in sala (Borgonovo, come detto, è a Berna) Claudia Svampa, prende appunti. Giubilei: “Generale, non crede che ci sia uno scollamento tra il paese reale e la narrazione che fanno certi giornali?”. Vannacci-Kundera: “E’ possibile. Il pianeta Lgbt ha una strategia per i prossimi trent’anni. Ma la maggioranza silenziosa non vuole essere più prevaricata”. Altra domanda. Generale, ma la stampa italiana è stata talebana? “Non mi mettete in bocca parole che non voglio dire”. Generale, ma quanto ha venduto? “Non lo dico”. Uno spettatore: “Vuoi vedere che è tutto falso come la ricevitoria del film La Stangata?”.

Il generale, che ha fuso un telefono per rispondere ai lettori (lettori che sarebbero 1.700, lo dice lui, “ho ricevuto 1.700 mail”) spiega che ormai lo imita Crozza e che dunque “ho sfondato. E’ chiaro”. Lo hanno rovinato. Ebbene, sì. Non riesce più a essere un militare e non riesce più a scrivere un rigo come Salinger, dopo Il giovane Holden. L’unico vero pericolo, e nostra fortuna, non è il primo libro di Vannacci, ma il secondo che non esce. Titolo: Il vecchio Vannacci.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio