È ora di limitare i pieni poteri dei pm. Parla Carlo Nordio
“La separazione delle carriere? No, non è negoziabile. C’è già un progetto in Parlamento: ci agganceremo. Entro dicembre si raddoppia sulla giustizia. La limitazione dei poteri del pm? Una volta che si è chiusa un’indagine non si riapre”. Chiacchierata con il Guardasigilli
Pene che aumentano, garanzie che saltano, riforme che slittano, populismo penale che trionfa: ma che ci fa un ministro garantista in un governo non garantista? Abbiamo passato giovedì sera qualche ora con Carlo Nordio, durante la festa organizzata a Santa Severa da Italia viva, e con il ministro della Giustizia abbiamo parlato, a lungo, di futuro e di presente.
Problema: come si fa a essere garantisti in una compagine di governo che il garantismo lo difende solo quando parla e non quando governa? Carlo Nordio conosce la differenza tra alcune sue parole del passato e alcune attitudini presenti nel suo governo. Ma nonostante questo non arretra, non si cura troppo delle contraddizioni, alza l’asticella e promette che entro l’anno la maggioranza di governo sulla giustizia non si fermerà: “Raddoppierà”. “Vedrete, tra novembre e dicembre arriverà un nuovo pacchetto di riforme. In primavera ce ne sarà un altro. E nei prossimi mesi sono sicuro che il Parlamento darà seguito a ciò che il Consiglio dei ministri ha già approvato all’unanimità”.
Pensa all’abuso d’ufficio, Nordio: “Vedrete che l’eventuale abrogazione non avrebbe soltanto ricadute positive per l’economia ma avrebbe anche l’effetto di aggiungere nel nostro ordinamento un elemento di garantismo vero, dato che ogni anno si celebrano migliaia di indagini nei confronti di amministratori che poi vengono regolarmente assolti, ma che intanto sono finiti sui giornali, delegittimati e vulnerati nella loro carriera”. Pensa alle intercettazioni: “In termini di garantismo significa evitare che vengano messi in piazza i pettegolezzi e le vite private dei cittadini, abbiamo per ora presentato il minimo sindacale: evitare cioè che il nome del terzo venga dato in pasto ai giornali”.
Pensa all’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento di primo grado: “Noi abbiamo introdotto nel nostro codice di procedura penale il principio che una condanna può intervenire soltanto quando le prove di colpevolezza sono al di là di ogni ragionevole dubbio. Ora, se una persona è già stata assolta, come puoi ribaltare in appello una sentenza in senso di condanna quando un giudice ha già dubitato al punto da assolvere?”. Pensa a questo ma guarda avanti. E promette, con voce stentorea, che nel prossimo pacchetto vi sarà anche la separazione delle carriere. “L’Italia è l’unico paese al mondo in cui il pubblico ministero ha poteri immensi senza nessuna responsabilità: è il capo della polizia giudiziaria, ma con le guarentigie del giudice che sono scritte nella Costituzione. Allora, o cambiamo la Costituzione, o facciamo una riforma a metà. La separazione delle carriere non è negoziabile”.
“Si può fare in due modi – dice Nordio: o totalmente, e bene, allora però ci vuole una riforma costituzionale. Oppure – e qui si può dire che il buono è meglio dell’ottimo – la si fa nell’ambito della Costituzione vigente, senza raggiungere i risultati permessi da una riforma costituzionale. E’ una valutazione che faremo nel prosieguo, politicamente e attraverso i dibattiti. Ovviamente, nel primo caso si tratta di una scelta a lungo termine. Oppure, si può fare una serie di leggi. C’è già un progetto in Parlamento su questo, a cui ci agganceremo”. Nordio, sul tema, aggiunge un passaggio interessante e ci dà una notizia. O meglio, fissa un obiettivo: ridimensionare e rimodulare i poteri dei pm. E per cambiare i poteri dei pm bisogna conoscere, dice Nordio, quali sono i trucchi con cui i pm provano a portare avanti indagini per molto tempo senza avere le prove. “Bisogna affrontare il tema a monte. Esempio. Il magistrato che dopo quattro volte che ha iniziato un procedimento archiviato ne inizia un quinto e un sesto è un problema. Il trucco che usa si chiama così: clonazione del fascicolo. Funziona in questo modo. Tu hai in mano un’inchiesta. A un certo punto non hai cavato un ragno dal buco e chiedi l’archiviazione. Lo fai ma ti tieni un pezzo, il modello 45, e lo mantieni in cassetto. Su quello costruisci una seconda indagine. Poi alla fine il modello 45 si trasforma in un modello 21, e sostieni di aver trovato un indagato, vero o falso che sia. A quel punto chiedi al gip l’archiviazione ma ti tieni un pezzetto del nuovo fascicolo. Si chiama clonazione non a caso. E lo abbiamo fatto tutti. Chi lo fa in modo sistematico lo fa perché non ha in mente un reato o un fatto. Lo fa perché ha in mente una persona che vuole colpire. Questo è inammissibile. E anche questo farà parte del pacchetto che porteremo in Consiglio dei ministri. La limitazione dei poteri del pubblico ministero significa che una volta che si è chiusa, un’indagine è chiusa. Non si può clonare il fascicolo. E se emergono altri elementi di reato, il fascicolo deve passare tutto alla polizia giudiziaria. E laddove dovesse trovare elementi di reato si rimandano gli atti alla procura della Repubblica. E in quel caso il procuratore dovrebbe designare un nuovo pubblico ministero: non quello di prima. Ma santo cielo, dateci un po’ di tempo: qui stiamo parlando di un nuovo codice di procedura penale, non è una cosa che si può fare in pochi mesi”.
Approccio garantista chiaro che cozza però con l’approccio giustizialista del governo sull’aumento delle pene. Ricorda Nordio quando scriveva che “chi tende a intercettare una domanda di sicurezza degli elettori giocando con il rialzo delle pene alla fine non fa altro che ingrassare un populismo che in pochi mi sembra vogliono combattere davvero: quello penale”? “Se si guardano gli aumenti delle pene sotto il profilo dell’efficacia preventiva del reato, confermo quello che ho detto: è illusorio pensare che un aggravamento delle pene funga da deterrente. Il delinquente prima di commettere un reato non va a guardare il codice penale. C’è un secondo aspetto, però. La pena edittale, cioè prevista dal codice, è il segnale che lo stato dà della sua attenzione verso la gravità di certi reati. In alcuni momenti storici è opportuno che lo stato dia come segnale di attenzione – senza farsi l’illusione che la pena costituisca un deterrente – l’idea che lo stato c’è, è attento e intende perseguire questi reati. Sotto questo profilo, l’aumento della pena ubbidisce al principio che nessuno cita mai: l’allarme sociale”. Il fine giustifica i mezzi, sembra dire Nordio, e allora chiudiamo la nostra piccola conversazione provocando il ministro su un tema che un garantista vero non può non avere a cuore: le carceri. Tema: Riuscirà su questo il governo a non avere un approccio securitario. “E’ inutile che ci giriamo attorno. Da un lato abbiamo una moltitudine di detenuti che per una serie di ragioni non può essere lasciata libera di circolare, dall’altro una capienza carceraria che è incompatibile con questo numero di detenuti. Abbiamo difficoltà a reperire risorse finanziarie, come tutti ben sanno E, last but not least, se volessimo costruire un nuovo carcere, dovremmo impiegare almeno dieci anni: perché per i vincoli idrogeologici, per i vincoli archeologici, per i vincoli burocratici e, non ultimo, per il principio di not in my back yard, nessuno vuole un carcere alle proprie spalle. La mia idea è di usare le caserme dismesse, le quali hanno una struttura che è perfettamente compatibile con la sicurezza necessaria a chi è in carcere per reati non gravissimi e magari in espiazione di pena breve. Se noi avessimo la possibilità di riadattare le caserme con cinquecento detenuti a testa – imputati di reati non maggiori – rappresenterebbero già una forte deflazione per il sistema carcerario. E soprattutto sarebbero un forte stimolo rieducativo perché consentirebbero lo sport e il lavoro. Come si può fare? Con un contratto di comodato gratuito con il ministero della Difesa: li abbiamo già, sono progetti concreti. Naturalmente – conclude il ministro – accanto a questi, ci sono progetti di detenzione alternativa. Perché quando si parla di garantismo – l’ho detto in Parlamento varie volte – questo si deve intendere come esaltazione della presunzione di innocenza, ma anche come esigenza di certezza della pena una volta intervenuta la condanna. Però certezza della pena non significa carcere a tutti i costi. Il carcere sarà sempre necessario, fa parte del marchio di Caino che la persona umana porta con sé, perché la violenza, la ferocia, la stupidità – come diceva Schiller – sono dei difetti contro i quali anche gli dèi lottano invano. Ma, detto questo, c’è tutta una serie di reati – soprattutto quelli legati alla tossicodipendenza: reati contro il patrimonio, furti, piccole rapine – che può essere trattata al di fuori della sistemazione carceraria. E su questo, pensate: è d’accordo anche il nostro amico Delmastro Delle Vedove!”. Lo dice con un sorriso, Nordio, facendo riferimento al sottosegretario alla Giustizia, anche lui di Fratelli d’Italia come Nordio, con cui il ministro discute spesso e con cui sul tema delle carceri si è confrontato spesso anche in pubblico. Lo dice con un sorriso ma lo dice anche con uno sguardo serio. Come a voler dire: sulle carceri mi impegno a portare dalla parte del garantismo anche chi sul tema ha idee diverse dalle mie. Nordio dunque raddoppia. Il tempo ci dirà se alzare le aspettative è un modo per indicare una direzione ambiziosa o per deludere ancora chi oggi crede che un futuro garantista dell’Italia non sia solo un’utopia pazza, irresponsabile e romantica.