politica e religione

Il Dio identitario di Giorgia Meloni

Giuliano Ferrara

La premier non cita Dio a caso. Ma il suo pensiero antimoderno, caro Orsina, è lontano da un conservatorismo cristiano e liberale sorvegliato e disincantato

Meloni non cita Dio così a caso, il suo ordine cristiano ha propaggini e radici, non si sa quanto consapevolmente interiorizzate, approfondite, studiate, in una per certi versi splendente massoneria di alta scuola cattolica, l’organizzazione militante controrivoluzionaria fondata dal compianto Giovanni Cantoni (1938-2020), che l’ha ispirata e diretta per mezzo secolo a partire dal 1960. Mediatore Alfredo Mantovano, già collaboratore e amico di questo giornale, oggi numero due al governo accanto alla presidente del Consiglio. Tanti anni fa in un ristorante dei Parioli, alla sera, a cena, fui presentato, per una conversazione, a Cantoni, e proprio da Mantovano, con il quale ho perso i contatti da molto tempo. Cantoni era considerato un maestro di spiritualità e di cultura, di stile, e a me che ero lì in quanto “devoto” di un conservatorismo a venatura antimoderna, pubblicamente qualificato come “ateo”, la devozione politica di Cantoni fece una ottima impressione, c’era un’atmosfera magisteriale da circolo ristretto, attivo e consolidato nella sua riservatezza relativa, e elegante, diversa dagli entusiasmi carismatici dei miei amici ciellini e dei movimenti di allora. 

 

Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti, che sono intellettuali di quel giro, hanno pubblicato per le Edizioni Ares un libro sul conservatorismo, con un contributo del prof. liberale Giovanni Orsina uscito ieri sul Giornale. Orsina, che è considerato uno bravo, si conquistò la mia antipatia quando si fece apologeta delle virtù politiche di Matteo Salvini il Truce, leader nel governo grilloleghista, per sua sfortuna alla vigilia del famoso capitombolo del Papeete. Mi sembrava strano e incongruo che un liberale targato Luiss encomiasse chi chiedeva pieni poteri via plebiscito per un progetto confusamente populista e dai tratti intolleranti se non autoritari. Vabbè, come scriverebbe Masneri. 

 

Stavolta Orsina fa di più, ma anche di meglio, di quanto fece allora, e mi pare un’operazione a suo modo interessante, per quanto spericolatamente ambiziosa. Non ho ancora tra le mani il libro, dunque si vedrà, ma i suoi autori e curatori sono della schiatta di Giovanni Cantoni, pensatore intelligente di un pensiero controrivoluzionario che affonda le radici in De Maistre, in Evola, come anche in san Luigi Grignion de Montfort, e fondato su devozione mariana e spiritualità ignaziana. Per semplificare: questo uomo di mondo, che in mezzo secolo ha educato una crema generazionale particolare a un linguaggio solido e tenace ma pacato e squisito, che da buon cattolico tradizionalista non si considerava del mondo interamente, considerava gli ultimi sei secoli, dal Rinascimento, dall’Umanesimo, dalla Rivoluzione francese, fino al Risorgimento italiano massonico, all’avvento del mondo borghese, fino al socialismo del Novecento e al 1968, come una ininterrotta catena del declino dell’occidente cristiano, una progressiva avanzata luciferina del male radicale nella veste della libertà e autonomia individualizzante dei moderni. 

 

Cantoni era un laico, come lo è il compassato magistrato Mantovano, suo seguace duttile impegnato nella vita pubblica e politica, come lo è la giovane madre cristiana italiana che invoca Dio come argomento identitario e nazionalcattolico, ma il suo non è un pensiero leggero, è consapevolmente estraneo al gioco modernista dell’innocenza delle idee, la controrivoluzione maistriana è una guerra.

 

Orsina fa entrare il pamphlet o il manuale sul conservatorismo dei prof di Alleanza Cattolica (il nome del gruppo storico di Cantoni) in un mainstream riflessivo che nasce dalla protesta di questi ultimi anni non definibili, a parere del sociologo e pubblicista, come anni populisti, bensì anni di protesta conservatrice e identitaria contro la tabula rasa della globalizzazione atomistica e neoliberale. Orsina si è specializzato in legittimazione della scorrettezza rispetto ai canoni invalsi, e in questo si prova una certa affinità con il suo sforzo (pardon) ermeneutico. Ma alludere come lui fa a una convergenza naturale del liberalismo classico, dei Burke, dei Tocqueville magari, e perfino degli Scruton, con la spiritualità e la metafisica delle serate di San Pietroburgo, il famoso libro del grande De Maistre, un reazionario coi fiocchi, è sornione, allusivo e un tanto corrivo.

 

Il mondo di Evola, degli entusiasmi papiniani, del medievalismo e feudalesimo cavalleresco del Cardini d’antan, tutto questo antiumanesimo e antiprotestantesimo radicale, tutta questa caccia controrivoluzionaria all’eresia moderna tutta intera, per quanto portata con argomenti forti e stile indubitabile, è diverso dal liberalismo classico e anche dal conservatorismo di un pensiero cristiano e liberale sorvegliato e disincantato. Tra la critica della Rivoluzione e la controrivoluzione una differenza c’è. La convergenza la si può a forza stabilire, ma non è naturale come esce dalla penna del prof prefatore. Comunque auguri, caro Orsina, il passaggio dal rosario chiavi in mano del Truce al mondo mentale e ideologico di Meloni, due diversi arruolamenti di Dio, che per i liberali è una libera opzione che ha diritto a uno spazio pubblico, non di più, è in atto con argomenti degni di essere approfonditi. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.