Il colloquio
La voce di Marina: "Meloni sbaglia sugli extraprofitti, ma non la chiamo. Ora una scossa alla mia FI"
Il debutto della primogenita di Berlusconi che per la prima volta parla in pubblico di politica e governo: "Non telefono alla premier per lamentarmi, l'intervento non era nel programma"
È la prima di Marina Berlusconi. Niente Scala. È a Roma nell’afoso auditorium Parco della musica. Tuttavia è il debutto (parlante) della primogenita della real casa di Arcore. Anche lei è qui all’assemblea di Confindustria, con i vertici dello stato e delle imprese. Sergio Mattarella prima di andarsene le stringe la mano. Fedele Confalonieri, seduto al suo fianco in seconda fila, si congeda con un paterno bacio sulla guancia. Gianni Letta le sussurra qualcosa nell’orecchio su un appuntamento da prendere insieme. Antonio Tajani, cordiale, le dice “allora ci vediamo presto”. Il sogno sarebbe a Paestum. E cioè al Berlusconi day, che non a caso inizierà il 29 settembre, compleanno del Cav.
L’assemblea, l’ultima di Carlo Bonomi come presidente con Mattarella come guest star, è terminata. Giorgia Meloni se ne va come un’anguilla. Marina Berlusconi no. Circondata dai famelici fotografi romani – “ahó è la foto del giorno dunque l’unica vera notizia: levateee!” – risponde alle domande del Foglio, in un capannello che poi si ingrosserà sempre più di cerchi concentrici (agenzie di stampa, altri cronisti, altri fotografi, telecamere, curiosi, cacciatori di selfie, un paio di mitomani).
La prima notizia sarebbe la voce. Che nessuno conosce perché “Marina” non è tipo da interviste in tv o dichiarazioni, figurarsi i social. Avrebbe dovuto parlare al funerale del padre, ma il rito ambrosiano non lo permise. Doveva farlo subito dopo sul sagrato del Duomo, ma alla fine saltò. Timbro flautato, con cadenza milanese-brianzola. Capitale umano in purezza (la chiameremo presidente Berlusconi per tutto il breve colloquio, con un certo effetto straniante).
“La norma sugli extraprofitti delle banche non mi è piaciuta: non era nel programma di governo del centrodestra, non era stata concordata con gli alleati. Spero che il Parlamento la modifichi”. Ha parlato con Giorgia Meloni per farglielo presente? Si è lamentata con la premier? “La risposta è: no. Anzi, vorrei dirle, al di là delle ricostruzioni, che io non telefono alla presidente del Consiglio per lamentarmi o chiederle interventi”.
Vuole dire che per questa funzione, quella politica, c’è la sua Forza Italia? “E’ un partito a cui io e la mia famiglia continueremo a stare vicini”. Scenderà in campo? “No, lo faccio per il bene di Fininvest”. Le piace il governo Meloni? “Sì, abbiamo sostenuto fin dal primo momento l’esecutivo. Apprezzo la linea prudente in politica estera e in economia”. La presidente Meloni? “Ha un approccio responsabile. Però...”. Cosa? “Come le dicevo: la norma sugli extraprofitti non mi è piaciuta e non ho problemi a dirlo”. Meloni ha ribadito che non intende cambiarla. “Spero nel Parlamento”. Intorno a Marina Berlusconi si forma una bolgia. La premier se n’è già andata. Le due donne più potenti d’Italia non si sono salutate. Ecco arrivare un ragazzo, forse di Confindustria giovani, che tira fuori dal cellulare una foto che lo ritrae con Silvio Berlusconi. La voce di Marina si fa tenera: “Papà! Papà, che bello”.
E cala, ma è roba di secondi, il silenzio. Il ragazzo chiederà un contatto di Marina, come se fosse una vicina di casa rivista dopo tempo, ma poi alla fine si accontenterà di una foto. L’imprenditrice si mette nella posa che tutti conosciamo: con entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni. La presidente di Fininvest poi torna a parlare con il Foglio: “Spero che insomma Forza Italia vada bene alle Europee, che sia tosta, forte, che abbia una scossa, che reagisca”, dice la primogenita stringendo il pugno, prima di andarsene, inseguita da un mostro multiforme di telecamere e microfoni, spintoni e “ah, Marì: fermate!”. E’ stato il suo debutto, la sua prima nel dibattito politico romano. Chissà quando riparlerà. Ha dato una mano alla sua Forza Italia in una mattinata dominata dall’intervento del capo dello stato. Che, citando un discorso di Luigi Einaudi, manda tre messaggi. Il primo: non bisogna cedere alla tentazione cinica di cavalcare le paure (ce l’avrà con le dichiarazioni di Matteo Salvini sui migranti?).
E ancora: c’è un problema di stipendi bassi e no al capitalismo di rapina. All’Auditorium, monumento storico dell’architettura del Pd, sfilano i capitani d’impresa. Meloni è stata qui, in prima fila, fra Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana. Senza intervenire dal palco come da protocollo quirinalizio. Per la premier è il giorno dopo la chiamata alle armi a Budapest in difesa di Dio e della famiglia. La platea si attende da lei Pil, patria e famiglia. Confindustria con lo stop al salario minimo le dà comunque un assist, anche se sembra frenarla sulle riforme costituzionali che non devono essere divisive.
Per un caso del destino, spuntano ovunque editori con cui parlare di governo. Puri come Urbano Cairo di Rcs (“tutto dipenderà dai fondi da reperire in manovra. Le banche? Noto maretta...”, dice con un sorriso). Oppure come il costruttore dalle importanti partecipazioni finanziarie Francesco Gaetano Caltagirone del Messaggero (e non solo): “Il governo? Va, va bene”.