il racconto
Il derby delle destre visto da Pontida
Salvini riceve la sua amica geniale Le Pen che si presenta con un nuovo patto in vista delle elezioni europee. Meloni da Lampedusa dice di aver portato la Ue sulle sue posizioni. Racconto di una domenica particolare
Pontida, dal nostro inviato. Lui voleva la Marina (militare) e si ritrova con Marine (Le Pen): addenta su un tavolo di legno, dietro alle cucine di Pontida, salamelle e formaggi innaffiati da prosecco (altro che champagne). Lei sognava il blocco navale ed eccola a Lampedusa in un ufficio asettico con Ursula von der Leyen. Alle loro spalle le bandiere dell’Italia e dell’Europa. Sono le didascalie che accompagnano la domenica particolare di Matteo Salvini (“il Capitano”, come lo chiama, spolverando chili di nostalgia, la dama nera francese) e Giorgia Meloni, la sovranista che si è fatta premier. Forse due idee – poco gobettiane – dell’Italia. Di sicuro della destra e pure dell’Europa. Se la premier scende sull’isola siciliana in piena crisi armandosi di diplomazia e sguardi al cielo, il suo vice leghista mette su una festa molto pulp. Con interventi calibrati sull’invasione, “sui questi signori che urinano sulle tombe nei nostri cimiteri”, dice Flavio Di Muro, sindaco di Ventimiglia). “Il governo italiano torni a chiudere i porti, come faceva Matteo”, suggerisce Le Pen, che non cita mai Meloni, nonostante le due si conoscano da dieci anni: una volta Giorgia andò a cena a Parigi a casa di Marine con Daniela Santanchè. Non, je ne regrette rien.
Il giochino qui a Pontida era chiaro fin da sabato, da quando Matteo Salvini, davanti a un centinaio di giovani leghisti, ha iniziato ad abbassare i toni nei confronti di Palazzo Chigi (complice anche la telefonata della premier non proprio entusiasta, in modalità Carletto Mazzone, buonanima, davanti a un torto arbitrale).
E’ una Pontida in cui non si parla di guerra e di Ucraina, altrimenti potrebbe piovere (Luca Zaia si limita a invocare una non meglio definita “pace”). Ci sono solo immigrati e clandestini, confini e buonismi pelosi, le ville di Richard Gere che “dovrebbero ospitare quelli lì”. Si parla pochissimo invece di economia. Nonostante la manovra (e dunque la ciccia) sia dietro l’angolo e i conti della serva non facciano ben sperare. Il ministro Giancarlo Giorgetti difenderà dal palco l’intervento del governo sugli extraprofitti delle banche, spiegando che è migliorabile, ma farà poi l’elogio draghista dell’equilibrio nel gestire le casse dello stato come vero atto coraggioso. Sempre, certo, con una punta di populismo anti establishment (“prenderemo decisioni che daranno fastidio”).
E comunque sorge un dubbio: non è che usate e parlate solo dell’emergenza sbarchi, che per carità è reale, perché in Finanziaria le vostre promesse non avranno più cittadinanza e rischiano di essere clandestine? “Aspettiamo la Nadef, certo la situazione è complicata”, dice Federico Freni, sottosegretario all’Economia, leghista romano tendenza Durigon, in versione cuoco per tutta la mattina tra arrosticini e salsicce (sarà un rito di iniziazione?).
E’ tutto un po’ vintage, già vissuto. Come l’ormai solita polemica su Umberto Bossi: il fondatore non c’è, e si sapeva da giorni. Raccontano però da Gemonio che il vecchio Senatùr non sia stato invitato (tutti i big dal palco lo citano e lo ringraziano). E parrebbe che il suo vecchio comitato antisalviniano – mai decollato – adesso flirti con Cateno De Luca, personaggione e pluri sindaco, ora a capo del movimento Sud chiama nord.
E’ tutto un po’ rivisto, anche perché Matteo e Marine non si sono mai lasciati. Osservarli fianco a fianco non dà un effetto novità. Anzi, viene subito in mente la celebre foto dei due che se la spassano insieme in una discoteca di Lione: era il 2014, e la sera, altro che via Veneto, andavamo a Mosca.
Si scoprirà che il pranzo di Pontida fra il leader della Lega e quella del Rassemblement national, testimone la riservatissima ma per la prima volta presente Francesca Verdini, ha prodotto un patto. Quello della salamella flambé. Con tanto di sottoscrizione della Dichiarazione dei diritti dei popoli e delle nazioni. Piattaforma turbosovranista che si arricchirà di altre adesioni non proprio moderate ed europeiste: i tedeschi di AfD (presenti con una delegazione di giovani), gli estremisti polacchi, bulgari, austriaci, romeni. Insomma la famiglia europea di Id, il gruppo da cui la conservatrice Meloni scappa come Superman dalla Kryptonite. Entro l’anno ci sarà un grande evento a Roma.
“Io so’ di Ciampino, faccio l’estetista e so’ amica de Giorgia, ho anche le foto con lei: mi chiamo Gianna”. Scusi e perché sta qui? “Perché ero di Fratelli d’Italia, poi passai con la Lega ai tempi del boom e non mi sono più mossa”, racconta questa simpatica cinquantenne arrivata con un torpedone, organizzato dal gruppo del Lazio. Ripartirà senza ascoltare Salvini, che come tutti gli anni è andato lungo e ha chiuso la festa alle 14 passate. “Siamo centomila”, dicono dall’ufficio stampa del Carroccio. Sono la metà, a essere generosi o miopi: il pratone non si riempie. “Non siamo più al 34 per cento, d’altronde”, dice il deputato Stefano Candiani. Intanto Mario Borghezio, ricercatissimo dalle telecamere, ripete a destra e a manca che senza Bossi e con la Le Pen questa non è la festa della Lega. Sarà. A dirla tutta la grande ospite riceve un’accoglienza calda e quasi entusiasta tra le bandiere venete, verdi, catalane, d’Israele e ovviamente dei Quattro mori.
Salvini parlerà di sogni, farà l’elogio dell’intelligenza artificiale (usata il giorno primo per un videomessaggio in francese) però è il presente elettorale che preoccupa un po’ tutti. Ecco perché appena c’è un pertugio si tuffa nelle contraddizioni dell’amica Giorgia, l’unico autorizzato a citarla dal palco. “Dureremo cinque anni al governo. Lei a Lampedusa, io qui: siamo uniti con un solo obiettivo”. Il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo parla, scherzando, di convergenze parallele con Fratelli d’Italia. Tuttavia la competizione si sente, eccome. “Farò di tutto, democraticamente, per fermare gli sbarchi e questa invasione di migranti”, rilancia in un film già visto Salvini. E mentre sta parlando, a mille chilometri da qui c’è Meloni che placa e ascolta la rabbia dei residenti di Lampedusa. E’ tutto un prova a prendermi. La premier a Budapest si è detta pronta a combattere per difendere Dio? Salvini a Pontida fa il giro lungo: “Finché l’Islam sarà intollerante va guardato con attenzione”. I giornalisti francesi arrivati a Pontida alzano le spalle. Léonard Attal di Tf1: “Marine ha sempre dato le carte: era buona amica di Giorgia e lo è sempre stata di Matteo. Ora ha solo lui”. L’amica geniale di Salvini fa un intervento molto politico e duro: identità, Europa da rimettere a posto, rivolta contro le imposizioni di Bruxelles, l’allarme degli invasori ormai alle porte. Il vicepremier le dice: “Ci hai portato il sole”. Lei ride, volteggia in un abito nero corto. E rilancia: quando il suo amico italiano era al ministero dell’Interno e chiudeva i porti “guardavamo all’Italia con ammirazione”. Ora forse meno, anche se Salvini fa il vicepremier e a Palazzo Chigi c’è una sua vecchia conoscenza come Meloni? Le Pen non perdona alla premier di non essersi schierata con lei alle ultime presidenziali francesi (inoltre la nipote ribelle Marion è anche sposata con l’eurodeputato di FdI Vincenzo Sofo).
“L’uomo che ha sbloccato decine di cantieri” – come da invocazione dello speaker Daniele Belotti, ex deputato e ultras dell’Atalanta – vede un’altra Europa. Più che altro vorrebbe uscire dal cordone sanitario dove è confinato a Bruxelles. Teme che Meloni possa stringere patti, entrare in maggioranza appoggiando un’Ursula bis. Queste sono le paure sul retropalco, ecco perché davanti bisogna agitare “l’invasione imminente di migranti che certifica come l’Ue stia morendo”. Per il resto: governatori tutti con il segretario. Il più agguerrito: Luca Zaia, con maglietta blu esistenzialista, stanco di aspettare l’Autonomia del suo Veneto (“anche il sacro Leone si sta incazzando”) ma anche pungente con la missione di von der Leyen a Lampedusa: “Adesso torni a casa e trovi una soluzione". Salvini se ne va da Pontida fiero di aver sottoscritto la Dichiarazione dei diritti dei popoli e delle nazioni. Meloni lascia l’isola siciliana convinta di aver portato la Commissione europea sulla sua linea, grazie alla sottoscrizione di un piano in dieci punti sui migranti. E oggi c’è il Consiglio dei ministri proprio sull’emergenza sbarchi: si ricomincia.