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Opinioni

Governare l'immigrazione non è un tabù. Girotondo di idee

Come affrontare l’incremento straordinario di sbarchi degli ultimi mesi e che cosa dovrebbero fare l’Italia e l’Europa? Idee e testimonianze, tra integrazione e sicurezza

L’inerzia nella gestione dei flussi nutre sospetti sulle istituzioni

Considerando che l’intera popolazione dell’Africa non può stare in Europa, e tanto meno in Italia, e che senza integrazione non si può parlare di vera accoglienza, è fuor di dubbio che il fenomeno migratorio vada opportunamente regolato. Da tempo persiste una situazione di emergenza che pesa moltissimo sotto il profilo umanitario sui migranti e incide negativamente sull’organizzazione e l’economia della società. Questo è drammaticamente vero specialmente per l’Italia, che si ritrova a essere la porta del continente sul Mediterraneo. Diversi attori sono in campo. La società civile, che soprattutto nel volontariato ha espresso una formidabile disponibilità all’accoglienza: essa non va lasciata da sola ad affrontare una questione complessa, che va ben al di là del bisogno di casa, cibo e cura nel momento dell’arrivo in emergenza. Lo stato non può assistere impassibile a un fenomeno, che ha numeri e impatto tali da destabilizzare l’assetto sociale particolarmente riguardo ai temi della sicurezza, dell’abitazione, del lavoro, della scuola e della salute. L’Europa non può permettere o agevolare disparità di trattamento tra le varie nazioni ed è chiamata a promuovere una politica comune rispetto all’accoglienza dei migranti con adeguata attenzione alla vera integrazione, che non può prescindere dalla formazione dei minori, dall’integrazione delle famiglie, dall’effettiva capacità di assicurare dignità e futuro tramite l’occupazione e la legalità. Legalità significa anche non consentire che enormi numeri di persone siano costretti a viaggi rischiosi per la vita mediante una corretta predisposizione e gestione dei flussi e un efficace controllo dei varchi illegali. E’ sicuramente questo l’aspetto più problematico, non soltanto per la complicata gestione, ma soprattutto perché tocca significativamente la dimensione umanitaria del fenomeno. Tale aspetto va affrontato con urgenza nei luoghi di partenza e di transito. Oltre a interventi umanitari per garantire sicurezza, sostentamento e dignità alle popolazioni più povere, è necessario che gli organismi internazionali preposti affrontino con coraggio e senza ipocrisia tutte quelle situazioni vecchie e nuove di colonizzazione, che impediscono un autentico sviluppo e sono la prima e più significativa causa della costrizione a partire. Non si può infine tacere il sospetto che una colpevole inerzia su tale aspetto corrisponda a una iniqua volontà di perseguire ingiusti interessi e scopi a spese delle persone più povere e vulnerabili.
Mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia

 

Integrazione e sicurezza. L’una non esclude l’altra

Il fenomeno migratorio non è un’emergenza ma una tendenza destinata a durare. Le proposte per sollevare l’Africa dalla condizione che provoca le migrazioni di massa sono lodevoli, ma possono avere forse effetti solo sul lungo periodo e se le condizioni internazionali muteranno. Ci si può lamentare dell’insensibilità europea, ma intanto bisogna occuparsi di come gestire la situazione esistente nella consapevolezza che non cambierà almeno per i prossimi anni. Gli immigrati sono anche una risorsa: basta andare in una pizzeria, in un vigneto durante la vendemmia o nelle fabbriche bresciane per rendersi conto che la manodopera straniera è indispensabile per far funzionare settori importanti dell’economia. Manca una procedura che agevoli l’integrazione, non nel senso di assimilazione culturale, ma semplicemente di utilizzazione al meglio della forza lavoro disponibile. Lo slogan populista secondo cui “gli immigrati ci rubano il lavoro” è una sciocchezza. C’è in realtà una carenza diffusa di manodopera, sia nei livelli meno professionalizzati sia in quelli che richiedono più competenze. Fra gli immigrati se ne può individuare una parte, se si lavora seriamente, per riconoscerne e aumentarne la professionalità. Tenerli segregati o quasi in centri che paradossalmente si chiamano di accoglienza è una stupidaggine. Come è insensata, oltre che fondamentalmente razzista, la demagogia della sostituzione etnica, lo è anche quella “buonista” che sottovaluta i pericoli rappresentati dalla delinquenza di piccoli gruppi di immigrati. La delinquenza va repressa sempre, così come la capacità di lavoro va premiata sempre. Altrettanto netta deve essere la ripulsa per atteggiamenti e comportamenti – ad esempio il trattamento umiliante riservato alle donne – che anche se hanno origini storiche e religiose antiche, debbono essere cancellati in un paese in cui vigono, per tutti, i diritti e i doveri scritti sulla Costituzione. Governare l’immigrazione non è un’alternativa a cercare di combatterne le cause – compresa la tratta di esseri umani degli scafisti. Se così fosse si rischierebbe di non ottenere risultati in nessuno dei due terreni.  
Sergio Soave

 

Europa e Africa sono due vasi comunicanti, impossibili da scindere

Caro direttore, nel mondo ci sono paesi con una natalità stratosferica e una scarsissima offerta di lavoro, e altri dove la natalità è sotto zero ma la domanda di lavoro è molto alta. Il Mediterraneo è la linea di faglia più netta e profonda tra questi due mondi. Africa ed Europa sono i due estremi di una stessa crisi. Ogni ragionamento sui fenomeni migratori che voglia scrollarsi di dosso l’impostazione politico-elettorale che domina un po’ ovunque (anche in Africa, beninteso) deve partire da questa semplice considerazione e immaginare che i due mondi siano vasi comunicanti, con le loro invincibili leggi. Se la riflessione si fa carico di tutto questo, alcune conseguenze saranno subito evidenti. La prima: quella di “aiutarli a casa loro” è una illusione da talk-show. Non c’è modo con cui l’Europa possa creare in quei paesi un mercato del lavoro in grado di assorbire l’immenso eccesso di potenziale manodopera. Non in tempi politici e probabilmente neppure storici. La seconda è collegata alla prima: “bisogna fermare le partenze” è un’altra, comoda, illusione da talk-show, peraltro velata di ipocrisia quando i respingimenti vengono fatti passare per lotta contro i trafficanti di esseri umani. Inoltre si rischia di pagare classi politiche che usano le partenze per farsi pagare di più, di vedere i trattati faticosamente sottoscritti, ingoiati dalle sabbie mobili della girandola golpista del momento. La terza è l’illusione che si possa continuare a distinguere tra “richiedenti asilo” e “migranti economici”: la gente fugge da casa propria quando non può più viverci, e fame o guerra non fanno la differenza. E’ sempre stato così fin dall’alba dei tempi, altrimenti il mondo non si sarebbe popolato dopo i primi passi dell’homo sapiens. La distinzione crea un gigantesco e costoso ingorgo burocratico. La soluzione non c’è. C’è un lungo lavoro di mitigazione e di adattamento (come per i mutamenti climatici) che parte da un programma europeo di quote di ingresso regolari (il governo italiano su questo fronte ha dato segnali incoraggianti) destinate a colmare la domanda di lavoro in Europa, e uno sforzo di formazione mirata alle esigenze del mercato comunitario, in Africa. Il tutto accompagnato da una forte semplificazione e sburocratizzazione del meccanismo delle quote che spesso le rende una sanatoria di fatto. Niente di tutto questo può funzionare se al tema dell’immigrazione non si applica una drastica procedura di depoliticizzazione. Vaste programme.

Giancarlo Loquenzi

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