Vieni avanti decretino. La marcia indietro sul decreto “caro voli” è solo l'ultima della serie
Prima: taxi, carburanti, rave, reati universali. Usare le leggi non per governare ma per fare propaganda. I pasticci a puntate del governo Meloni
Alla fine, la guerra dei cieli scatenata dal governo si conclude con un atterraggio d’emergenza. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, doveva spezzare le ali a Ryanair e invece, alla fine, ha dovuto amputare il suo decreto del tetto ai prezzi. La misura simbolo del provvedimento contro il “caro voli”.
I due fronti contrapposti erano rappresentati da un lato dalle dichiarazioni di Michael O’Leary, il fondatore della compagnia aerea irlandese, che definiva il decreto del governo “illegale”, perché in contrasto con il regolamento europeo, e “di stampo sovietico”, perché interferiva con le regole del mercato. Dall’altro, dal ministro Urso, che ribatteva: “Qui non siamo nel far west, in cui il potente è libero di approfittare dei più deboli”. E il confronto, anche lontano dai media, ad esempio al tavolo convocato al ministero, è proseguito negli stessi termini.
Ma con l’emendamento che elimina il tetto al prezzo, implicitamente Urso dà ragione a O’Leary. Più delle “minacce” di Ryanair, a cui il governo l’avrebbe fatta volentieri pagare, avrà influito l’interlocuzione con la Commissione europea e quindi il rischio reale di una procedura d’infrazione per violazione del diritto comunitario. E così il Mimit ha partorito una sorta di decreto esortativo, che cioè invita l’Antitrust a fare l’Antitrust. Le tre condizioni che prima facevano scattare il tetto al prezzo dei biglietti – collegamento con le isole, picco di domanda e prezzo del 200 per cento superiore alla tariffa media – ora diventano tre “indizi” di cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato “può tener conto” per accertare un’intesa restrittiva della concorrenza o un abuso di posizione dominante. Si tratta, in sintesi, di un rimando alla normativa antitrust già in vigore. Tra l’altro, mentre è già in corso un’indagine sul tema dell’Antitrust, a dimostrazione che non serviva una nuova legge.
Non è la prima volta che le battaglie del ministro Urso, e del governo Meloni in generale, si concludono in questo modo. A gennaio, dopo l’aumento dei prezzi dei carburanti, il Mimit ideò il “decreto trasparenza” con le sue tre frecce: esposizione del cartello con il prezzo medio, sanzioni per i benzinai e “accisa mobile”. Si sono rivelate tre frecce spuntate: il cartello da esporre non è servito a nulla, le sanzioni sono state ridotte dopo le proteste dei benzinai, l’accisa mobile non è mai partita. Anzi, ora Urso pensa – più correttamente – ai buoni carburante per le fasce meno abbienti (il principio opposto al taglio generalizzato che guida l’“accisa mobile”).
Anche per l’emergenza taxi Urso – pensando di fare cosa gradita – aveva proposto il regalo ai tassisti di una seconda licenza, che poi ha dovuto togliere dopo le vibranti proteste degli stessi tassisti. L’approccio, a pensarci bene, è lo stesso delle norme contro i rave party o i cosiddetti reati universali. Al populismo penale si abbina il populismo economico, visto all’opera anche con la tassa sugli extraprofitti delle banche, anch’essa da rivedere e “migliorare”.
A ogni vera o finta “emergenza” scovata nelle pagine di cronaca dei media, il governo risponde in maniera affrettata con l’obiettivo di risolvere il problema sul piano comunicativo. Non conta se la norma dovrà essere riscritta, depotenziata e amputata. Perché le condizioni di “necessità e urgenza”, richieste dalla Costituzione per varare un decreto legge, per il governo Meloni sono quelle della comunicazione. Durano il tempo di qualche sparata, in attesa della prossima urgenza mediatica.