La mutazione di Piantedosi, ministro dell'Interno "di nessuno"

Marianna Rizzini

“Una regia dietro gli sbarchi? Io non ho prove", dice il titolare del Viminale, smentendo Salvini. Schema Lamorgese o balzo politico? Di chi è oggi il ministro-prefetto e prefetto-ministro indicato un anno fa dalla Lega?

“Una regia dietro gli sbarchi? Io non ho prove, se Salvini lo ha detto le sue supposizioni avranno sicuramente qualche fondamento. Lui da leader politico può dirlo, io da ministro dell’Interno devo avere prove concrete”. Così parlò (ieri) Matteo Piantedosi, non dal Viminale ma intervenendo a “Ping Pong”, su Rai Radio 1, e nelle sue parole sta tutto un mondo e tutta la differenza che corre tra l’essere prefetto e l’essere ministro, e tra l’essere tecnico e l’essere politico, ruoli che  si rincorrono dai tempi in cui Piantedosi era capo di Gabinetto del Matteo Salvini ministro dell’Interno, e che ora si sovrappongono in solitudine: la sua, ché nella maggioranza non si vede gara di rivendicazione d’appartenenza attorno all’uomo che il prato leghista di Pontida non attendeva certo a braccia aperte (anzi, più di un militante si diceva deluso, invocando a gran voce il blocco navale).

 

Di chi è oggi Piantedosi, dunque, il ministro-prefetto e prefetto-ministro indicato un anno fa dalla Lega? La domanda c’è, ma è destinata a fluttuare qui e là tra i Palazzi, mentre i profili social di Piantedosi si gonfiano di follower, come raccontava giorni fa Simone Canettieri su questo giornale, sotto l’impulso del social media manager Giuseppe Inchingolo (Artsmedia), già consulente esterno della Lega e in passato collaboratore di Luca Morisi, demiurgo social della macchina salviniana anche nota come la Bestia. Non da oggi, dunque, il confine tra le due dimensioni – prefettizia e non prefettizia – s’è fatto più che mai labile. Nell’agire e nel parlare di Piantedosi, non coccolato come ministro d’appartenenza dalle forze del governo di cui fa parte (come non era coccolata la prefetta non social Luciana Lamorgese, salita al vertice del Viminale ai tempi dei governi Conte II e Draghi) si scorgono infatti due spinte opposte: mantenersi al fondo tecnico e smarcarsi dai complottismi salviniani, ma senza rinunciare alla metamorfosi in politico espresso da una maggioranza uscita dalle urne. E già a fine 2022, dunque, Piantedosi sottolineava che sì, se la Lega voleva “fregiarsi” della sua lealtà, non poteva che “esserne onorato”. E che però si sentiva “autonomo”, al punto da non smentire l’ipotesi di un futuro in politica in caso la politica avesse voluto accoglierlo sulla scena (“se la politica mi vorrà…”, diceva il ministro, a monte però della strage di migranti a Cutro, momento di grande imbarazzo governativo attorno alla sua comunicazione). E dunque l’altra domanda – con chi, in politica, Piantedosi? – non è più cosa semplicissima da dire e da prevedere, discontinuo com’è il ministro nella forma (e forse anche nella sostanza) da coloro che lo hanno espresso. “Non può esistere un ministro non politico”, diceva agli esordi, e quello era un indizio dell’imminente mutazione (mediatica, intanto). E se il tecnico ora lascia il posto al politico, anche se, al momento, politico di nessuno, l’uomo abbandona sempre più spesso l’aplomb ingessato per una versione televisiva non ieratica e meno in linea con l’iniziale imitazione del comico Maurizio Crozza (che scherniva l’eloquio ministeriale denso di perifrasi, parentesi, sottintesi e voli burocratico-pindarici). 

 
A chi assomiglia, il Piantedosi contestato a Pontida? Non molto a Salvini, non molto a Meloni. Non ai sindaci che lo chiamano a intervenire sulla questione Cpr (“ce l’ha chiesto l’Europa”, dice lui). Il resto è cronaca di ieri (“il blocco navale può realizzarsi se si completa la missione Sophia”, ha detto il ministro. Risposta di Matteo Orfini, dal Pd: “…missione Sophia, cioè quella che Salvini e Piantedosi, suo capo di gabinetto, fecero sopprimere perché non era un blocco navale”). Ed è cronaca dell’altroieri: non è vero che è sparito il blocco navale dall’agenda Meloni, diceva Piantedosi alla festa nazionale di Italia Viva: “Non ha fatto nessuna marcia indietro”, la premier, e la frase correva per la platea renziana, ma non faceva in tempo a planare che un’altra querelle prendeva corpo. “Non accoglieremo migranti da Lampedusa”, diceva il ministro dell’Interno francese Gerard Darmanin mentre dalla Germania arrivavano aperture all’Italia, aperture che pareva in verità di percepire anche sul lato Macron. “Questa apparente contraddizione in realtà io la ascrivo al fatto che, in vista delle elezioni europee, si parla in parte all’elettorato e in parte poi si prende consapevolezza della concretezza del problema. E Darmanin mi è parso sinceramente e concretamente proiettato sulla consapevolezza che l’Italia va aiutata”, diceva il Piantedosi ministro di nessuno,  intanto esegeta del collega francese. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.