L'editoriale dell'elefantino
Meloni una di noi, chi l'avrebbe detto
Al governo non sono particolarmente efficaci, ma nemmeno scappati di casa. Tra eresia e ortodossia questo regime fascio-liberale non fa paura
Franco Karrer, chi è costui? Un urbanista con il curriculum accademico e scientifico che è una bomba, uno della famiglia della sinistra democratica ora e di nuovo nel comitato promotore del Ponte, tra Giorgetti e Salvini. Alberto Prestininzi, chi è costui? Un supergeologo di livello europeo, curriculum ed esperienza sul campo blindati, nello stesso gruppo della Grande Opera Massima, roba cui lavora il Truce e che farebbe, se progettata e magari realizzata senza troppi rischi, impallidire il ricordo della Grande Bonifica Pontina del Duce. Oltre tutto, secondo il Corriere, avrebbe detto in passato che non scassassero le balle, temperature e piogge sono nella norma (una provocatoria divinità per noi scettici della devozione verde). Un anno dopo, il regime fascio-liberale, atlantista europeista e ora anche sparagnino o un po’ frugale nella relazione tra debito e mercati, si presenta, a chi voglia fare una notazione di atmosfera spassionata, con credenziali di continuità e cambiamento che non fanno spavento. Nell’aria circolano virilismi di generalissimi scrittori, subito censurati a nome delle istituzioni, devozionismi da reazione cattolica che possono allarmare noi attempati lettori di Lucrezio Caro e di Sant’Agostino, ma in tanto fervore secolare hanno, come si dice a Milano, il loro perché.
Si nota qualche ridondanza egemonico-culturalizzante, qualche fesso in mano alle creature, qualche anelito un po’ revisionista, lo sdoganamento (si dice così) della Nazione, parola legittima ma pesantuccia rispetto al calco anglosassone di paese con la minuscola (my country, this country). Meloni farebbe bene ad alternare nation e country come alterna i tailleur, e non è questione di colore o di armocromismo. Però, chi l’avrebbe mai detto?
Il critico Giorgio Manganelli sarcasteggiava genialmente: non l’ho letto e non mi piace. Di questo regime si può dire non mi piace, è chiaro, non è di famiglia, non della famigliola nostra, veterocostituzionale con punte riformiste democratiche, ma è impossibile dire che non lo si era letto. Un anno dopo, e il lasso di tempo non è chissà che ma nemmeno pochissimo, è lampedusianamente cambiato tutto perché non cambi niente, testo e sottotesto sono nella sostanza gli stessi della storia della Repubblica dei partiti ciellenisti, quando i nonni delle Meloni e dei Lollobrigida erano una banda di reduci tenuti in sospetto di forte slealtà costituzionale, tenuti a bada con legislazione eccezionale da quello stesso Mario Scelba che definì la Costituzione una “trappola”. Se la politica estera è quella di Biden e la politica economica più o meno quella di Schäuble o meglio di Draghi, che vogliamo di più dalla vita? Eppure i capiscuola del regime vengono dal Msi e successori, vengono dalla rivolta separatista del nord antifiscale imbizzarrito, sbandierano vuoi con Le Pen, diventata praticamente potabile dopo lunga purificazione, vuoi con la von der Leyen, acqua freschissima europopolare, il loro birignao è intinto nel populismo, ma il drammaturgo che li ha messi in scena ha curato le forme di un paradossale populismo conservatore e repubblicano, l’estremismo massimo è il sei in condotta del buon Valditara.
Non sono particolarmente efficaci, ma nemmeno scappati di casa, a parte che nella classe dirigente degli asini riuscirono prestazioni riformatrici da sballo (sballo dell’immaginazione fattiva al 110 per cento, e anche dei conti pubblici contabilizzati in Ue, ma tant’è). Impressiona l’ordinarietà della cosa, la capacità di normalizzazione o razionalizzazione del sistema, il divario tra esuberanze identitarie e pratica nazionalcomunitaria, tra scaturigini eretiche e sbocco ortodosso. Che Meloni sia una di noi non era immaginabile, diciamocelo con sincerità. Anche Michele Serra ha capito che il regime non è chiodato, procede per servizi canterini del TgProLoco e per i soliti rigurgiti di ruffianeria spinta con il “governo al lavoro”, l’attentato alla dignità della Repubblica e alle libertà è ancora una volta rinviato a data da destinarsi, il sistema ha digerito gli scappati e poi gli esiliati i reduci e perfino qualche amico di Stefano Delle Chiaie. Sussiego e intolleranza sono nemici di una buona opposizione che deve fare i conti con il già visto italiano. E quando sento parlare di trasformismo, metto mano alla pistola.