l'editoriale del direttore
La coppia dell'anno è Mattarella+Meloni
Ferragnez? No: Mattarelloni! Dodici mesi di pieni doveri, con qualche dispiacere per destra e sinistra
Mattarelloni, la serie. Se avesse un po’ di creatività, piuttosto che perdere sempre con le soporifere e scontate docuserie “senza filtri” dedicate “alla straordinaria vita di Chiara Ferragni e Fedez”, Amazon Prime dovrebbe farsi in quattro per accaparrarsi i diritti per raccontare la coppia più appassionante dell’anno. Non i Ferragnez ma i Mattarelloni. La questione è evidente, è chiara ed è lineare. Giorgia Meloni e Sergio Mattarella compongono il duo politico più interessante osservato in Italia negli ultimi dodici mesi. Sembravano essere incompatibili, inconciliabili, e invece, un anno dopo le elezioni, quello tra il capo del governo e il capo dello stato sembra essere l’unico vero affetto stabile della politica italiana. Sono una coppia strana, improbabile, per certi versi inverosimile – basti pensare al fatto che il partito di Giorgia Meloni è l’unico tra i partiti presenti in Parlamento a non aver votato per Mattarella nel gennaio del 2022. Ma la verità è che la convivenza tra Meloni e Mattarella, nel primo anno di questa legislatura, è stata perfetta. Senza sbavature, senza polemiche eccessive, senza tensioni manifeste.
Mattarella ha capito presto che sui valori non negoziabili della democrazia italiana Meloni non rappresenta una minaccia. Meloni, da parte sua, ha capito presto che rispetto all’azione di governo l’unico interesse di Mattarella è tutelare la Costituzione e non muoversi, come qualcuno vorrebbe, come capo dell’opposizione.
E dunque, in questi mesi, il capo dello stato ha compreso che sull’Ucraina Meloni non avrebbe fatto scherzi (e che sul tema sarebbe stata persino più affidabile del Pd). Ha compreso presto che sui conti pubblici Meloni non avrebbe fatto danni (e anche la prossima Manovra promette di essere prudente). Ha compreso presto che le minacce veicolate da alcuni esponenti del centrodestra prima delle elezioni (facciamo il presidenzialismo anche per delegittimare questo capo dello stato) sono state archiviate (e non è un caso che Meloni oggi sia diventata promotrice di una riforma istituzionale più soft rispetto a quella hard promessa in campagna elettorale: il premierato, non il presidenzialismo).
E Mattarella ha fatto di tutto affinché l’attenzione sul Pnrr diventasse non un’ossessione del Quirinale ma un punto centrale dell’attività di governo del centrodestra. In questi mesi, ovvio, vi sono stati numerosi casi di moral suasion anche abbastanza energici, ma la moral suasion, si sa, funziona nella misura in cui è riservata e non sbandierata ai quattro venti, e gli interventi portati avanti dal Quirinale per riallacciare i rapporti con la Francia dopo i litigi di novembre, per correggere la Manovra ai tempi delle polemiche sul pos a dicembre, per rivedere alcuni aspetti della riforma dell’abuso d’ufficio a giugno sono risultati nel dibattito pubblico qualcosa di simile a un rumore di fondo.
Per il resto, il rapporto ha funzionato bene. Meloni ha spesso usato il ruolo di Mattarella per giustificare alcune svolte inevitabili che ha dovuto subire la sua traiettoria politica (per esempio il rapporto con l’Europa, l’allontanamento dell’Italia dai vecchi amici sovranisti, il riavvicinamento faticoso con i vecchi nemici europeisti). E Mattarella, da parte sua, non ha mai rivolto, in pubblico, ammonimenti alla maggioranza di governo. Salvo quando ha invitato i presidenti delle Camere a salvaguardare la centralità del Parlamento nel processo di approvazione delle leggi, evitando il ricorso eccessivo da parte del governo alla decretazione d’urgenza e scoraggiare i decreti “omnibus”. Salvo quando ha scelto di praticare il metodo del parlare a nuora perché suocera intenda, nei giorni del suo intervento al Meeting di Rimini, quando, in pieno dibattito sul libro di Vannacci, ha ricordato che la Costituzione nasce “per superare ed espellere l’odio”, che la nostra patria è il “frutto dell’incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni” e che “la pretesa della massificazione è quel che ha caratterizzato ideologie e culture del Novecento che hanno portato alla oppressione dell’uomo sull’uomo”. Salvo quando ha offerto, a Meloni & Co., qualche suggerimento indiretto per dare profondità ad alcune battaglie politiche, promosse dal centrodestra, che potrebbero essere declinate facilmente in chiave non populista. Prendete le due importanti dichiarazioni offerte questa settimana da Mattarella.
Dichiarazione numero uno: “Sì a regole di bilancio rigorose, ma il rigore non sia ottuso e cieco, abbia come obiettivo la crescita”.
Dichiarazione numero due: “Le regole di Dublino sono preistoria. Voler regolare il fenomeno migratorio facendo riferimento agli accordi di Dublino è come dire ‘realizziamo la comunicazione in Europa con le carrozze a cavalli”.
In entrambi i casi, ascoltando solo una parte del ragionamento, le frasi del capo dello stato potrebbero essere vendute come frasi in sintonia con il pensiero euroscettico veicolato dalla maggioranza di centrodestra. Vedete? Anche Mattarella è contro il rigore di quei farabutti dell’Europa. Vedete? Anche Mattarella è contro l’Europa che vuole trasformare l’Italia nel campo profughi del continente. In verità, in queste due dichiarazioni, c’è l’essenza vera del rapporto costruito da Mattarella e Meloni: individuare temi cari ai partiti di governo (il rigore europeista, le regole sull’immigrazione), mostrare sensibilità alle domande poste anche dai populisti ma aggiungere a corollario del ragionamento una soluzione all’altezza delle domande. E nel caso specifico, le soluzioni sono sempre le stesse: quale che sia il problema che ha l’Italia non esiste un posto migliore delle istituzioni europee per provare a risolverlo. Con gli slogan, si possono conquistare voti. Con la politica, si possono conquistare risultati.
L’abbraccio tra Meloni e Mattarella, dunque, innervosisce sia chi sperava che Meloni potesse trasformare in un ricordo del passato il metodo Mattarella (discontinuità!) sia chi sperava che Mattarella potesse essere la vera testa d’ariete dell’opposizione a Meloni. Sono una strana coppia, una coppia improbabile, potenzialmente inconciliabile, ma l’abbraccio tra Meloni e Mattarella è lì a raccontarci un pezzo di Italia che spesso non vogliamo vedere: sui dettagli si può litigare, ma sull’agenda dei doveri le istituzioni hanno trovato un equilibrio magico. Il binario è solido. E anche se il treno italiano sembra essere in forte rallentamento la coppia politica dell’anno, il Mattarelloni, altro che Ferragnez, è lì a ricordarci ogni giorno perché l’Italia, pur potendo andare più veloce, difficilmente deraglierà.