Capitale indecente, nazione decaduta
Il funerale di Napolitano in una Roma indecente
Il nastro giallo, le transenne, i turisti, nella Capitale nemmeno una celebrazione di stato in Parlamento riesce a diventare solenne
A Roma nemmeno un funerale di stato, celebrato in Parlamento, riesce a diventare solenne. I sensi di marcia invertiti, i vigili urbani come inutile contorno al traffico d’una piccola megalopoli provinciale, i turisti che in infradito osservano i corazzieri mentre cogli alluci all’aria pestano bucce d’arancia, carte d’imballaggio, di gelati, di sigarette, a liste, a pallottole, a foglie morte, a trucioli e a coppetti. Splendida città senza prestigio. Su via del Corso, tra gli automobilisti che vengono bloccati è tutto un intercalare, come si dice, scafato, composto cioè di “ahò” ma anche di “ahé”, e poi ovviamente di “embé?”.
Quando finalmente il feretro di Giorgio Napolitano, il defunto presidente della Repubblica, si avvicina a piazza Colonna, che da tempo è un parcheggio d’auto blu, ecco che la polizia apre un varco trascinando quelle transenne spartitraffico in metallo, da stadio o da concerto, le quali, ovviamente provvisorie, sono invece lo spaventoso arredo definitivo su cui s’affaccia Palazzo Chigi. E quando la bara, avvolta nel tricolore, arriva su Piazza Monte Citorio e viene in fine sollevata di fronte alla Camera dei deputati, ecco che la piazza disegnata da Gian Lorenzo Bernini è abbellita dalla sciatteria di quello stesso nastro giallo in plastica che a Roma circoscrive ogni bruttura cittadina: gli alberi segati e abbandonati sui marciapiedi, i cassonetti incendiati, le buche stradali.
Ieri in pratica l’avevano srotolato pure attorno al presidente defunto. Ebbene sì. Capitale indecente, nazione decaduta.