Verso la Finanziaria
La Nadef conferma che Meloni ha un tragico problema con il digitale
Non solo la revoca ai fondi per le start-up. Il governo continua a filosofeggiare di inesistenti primati nazionali, mentre ignora o addirittura ostacola ogni forma di innovazione tecnologica su temi come i sistemi di pagamento, i taxi, le nuove forme di coltivazione alimentare
Nadef significa “Non Abbiamo Digitale Eppure Filosofeggiamo”. Le linee guida della politica economica e fiscale del governo sono state rese note in concomitanza con il primo rapporto della Commissione Europea sul “Decennio Digitale”, e in sostanza i due documenti convergono: il rapporto europeo evidenzia come l’Italia sia in grave ritardo sull’innovazione digitale, e la Nadef conferma che il governo, sovranamente, se ne infischia. Anzi: Meloni, Giorgetti, Urso & Co. hanno appena revocato la dotazione finanziaria di 300 milioni inizialmente indirizzata, tramite CDP Venture Capital, a investimenti in start-up tecnologiche, per destinarli a sussidi ad aziende tradizionali tramite un abbozzo di fondo, ovviamente “sovrano”, per un non meglio precisato ambito del “made in Italy”.
Il rapporto della Commissione mette a nudo le carenze della politica italiana rispetto agli obiettivi del “decennio digitale” fissati a livello europeo. Le uniche aree (copertura 5g, sistemi di calcolo ad alte prestazioni) nelle quali l’Italia sembra tenere il passo risultano quelle dove sono intervenuti capitali privati, quasi sempre ostacolati - invece che facilitati - dalla burocrazia nazionale, oppure dove si prevede che intervengano i capitali europei del Pnrr, che sulla carta dedica il 25 per cento delle risorse alla trasformazione digitale. Laddove invece, il compito spettava alla politica nazionale – come su formazione, competenze, digitalizzazione della pubblica amministrazione – il ritardo è enorme, e rischia di ampliarsi ulteriormente visto il totale disinteresse, o meglio il sostanziale disprezzo, che il governo ha per i temi dell’innovazione digitale. Il rapporto evidenzia, con un eufemismo diplomatico, che l'Italia ha un potenziale digitale inespresso: negli ultimi anni, l'Italia ha compiuto alcuni progressi in termini di infrastrutture, riducendo almeno in parte il ritardo sulla copertura delle reti a banda ultra-larga, ma presenta ancora fondamentali lacune sulle competenze tecnologiche e sulla digitalizzazione dei servizi pubblici.
Il governo Draghi, anche grazie al contributo dell’allora ministro Vittorio Colao, aveva adottato strategie chiare sul cloud, sulla blockchain, sull'artificial intelligence, sulla cybersecurity. Troppi termini inglesi, deve aver pensato l’autarchica maggioranza attuale: meglio puntare sui temi identitari, come immigrazione, ordine pubblico, inasprimento di ogni tipo di pena, tassazione e dirigismo su tutto ciò che sa di innovativo e internazionale. Nel report, la Commissione plaude agli sforzi degli operatori (privati) che hanno portato la copertura 5G tramite la rete mobile a 3,4-3,8 GHz, all'80 per cento urbane e a circa il 55 per cento di quelle rurali. Ma l’Italia rimane molto al di sotto della media UE sulla rete fissa ad alta velocità, con una penetrazione nel 54 per cento delle famiglie contro il 73 per cento nell'UE, nonostante il balzo di 10 punti indirettamente indotto dall’emergenza pandemica. Sempre sul fronte dell’economia privata, le Pmi italiane risultano avere nel 2022 un livello di intensità digitale perfino leggermente superiore alla media Ue (70 per cento rispetto a 69 per cento). Quando si parla di pubblica amministrazione, invece, i servizi digitali offerti risultano nettamente inferiori agli standard europei, sia per i cittadini (68 rispetto a 77) sia per le imprese (75 contro 84).
La politica non si è ancora resa conto che la carenza di servizi digitali ha l’effetto di deprimere ulteriormente il già enorme differenziale di produttività che ci separa dall’Europa. Eppure, il governo continua a filosofeggiare di inesistenti primati nazionali, mentre ignora o addirittura ostacola apertamente ogni forma di innovazione tecnologica su temi come i sistemi di pagamento, i taxi, le nuove forme di coltivazione alimentare. Ancora più grave è la situazione sulle competenze digitali: solo il 43 per cento possiede competenze digitali di base o superiori, rispetto al 58 per cento della media europea. E’ ancora peggio in ambito professionale, dove solo il 35 per cento possiede competenze digitali adeguate al lavoro, rispetto al 56 per cento della media europea. Drammatica è infine la carenza di specialisti: la quota di laureati in tecnologie digitali è ferma all’1,5 per cento, un livello del tutto inadeguato alle sfide dell’economia contemporanea e significativamente inferiore alla media UE del 4,2 per cento. “L’Italia dovrebbe rafforzare i propri sforzi per incoraggiare l’imprenditorialità nei settori digitali e creare un ecosistema di innovazione, in particolare per le start-up e le PMI, migliorando le loro possibilità di crescita”, scrive la Commissione. Il governo italiano è determinato, nei fatti e nelle scelte appena annunciate con la Nadef, ad andare ostinatamente nella direzione contraria. In Italia il decennio digitale europeo, finché prevale questa politica, richiederà almeno un secolo.