Il retroscena
Giorgetti e i timori sui conti: "Se salgono spread e tassi, me ne torno a vendere case"
Le preoccupazioni del ministro dell'Economia tra manovra e mercati. E al vice Maurizio Leo dice: "Se i dati non ci sostengono, rivai a fare il commercialista". Intanto al Mef saltano le teste
La battuta ha lasciato tutti un po’ di stucco. La settimana scorsa il ministro Giancarlo Giorgetti durante una riunione con vice e sottosegretari all’Economia a proposito di Nadef, manovra, scenari e dintorni si è rivolto a Maurizio Leo: “Se continuano ad aumentare lo spread e i tassi d’interesse sai come finisce, caro mio? Io torno a vendere le case e tu a fare il commercialista”. Seguiranno risate gelide e perplesse nelle stanze del dicastero di Via XX Settembre voluto da Quintino Sella. Giorgetti non è nuovo a queste uscite. Fanno parte del personaggio. E’ il solito black humor del leghista di Cazzago Brabbia. Un misto di sana preoccupazione, che c’è, ma anche un modo per esorcizzare i fantasmi.
Tuttavia la frase tradotta dal dizionario del giorgettismo si può leggere anche come un messaggio ai naviganti per dissuadere la maggioranza di centrodestra, a partire magari proprio dal suo leader Matteo Salvini, da assalti alla diligenza.
L’altro giorno in conferenza stampa, nel presentare i numeri poco esaltanti della Nadef, il ministro Giorgetti si è fatto vedere molto risoluto nei confronti dei suoi colleghi che non avevano svolto i compiti a casa durante le vacanze estive. “Il lavoro che non hanno fatto i ministri lo faranno il sottoscritto e i suoi vice: intensificheremo i tagli, saranno di due miliardi”.
Anche questo piglio esibito a favore di telecamera fa il paio con le preoccupazioni che si respirano al ministero, un dedalo di corridoi pensosi e pieni di insidie. Dove il clima di assedio dei mercati va a braccetto con le perplessità della struttura dirigenziale. E poi ci sono i mondi bancari. Tutti critici per la norma sugli extraprofitti, o meglio per la sua genesi agostana, ma anche sull’idea che avrebbe il governo per far fronte ai crediti deteriorati e infine sulle norme parlamentari in discussione a proposito dei cda degli istituti di credito. Chi si occupa di relazioni istituzionali per i grandi gruppi spesso si trova a lamentarsi (in privato) con il sottosegretario più vicino. E’ un clima di attesa, ma anche di evidente difficoltà visto il perimetro assai ristretto che avrà la manovra, la prima tutta made in Meloni (e dunque anche Giorgetti).
Basta un sussurro a ingrandire sospetti e malumori al ministero dell’Economia. Per esempio da ieri in molti si chiedono perché sia saltato Antonio Colangelo, coordinatore di FdI nell’VIII municipio, e fino all’altro giorno anche capo della segreteria politica della sottosegretaria del Mef Lucia Albano, indicata sempre dal partito di Via della Scrofa. Sussurri e grida. Di un partito che il governo si gioca a Roma, ma con lo sguardo rivolto a Bruxelles, dove l’Italia rimane la grande osservata. E non solo per il crocevia del Mes che entro un mese dovrà essere ratificato (oppure no). C’è anche la questione, non solo italiana, delle regole del Patto di stabilità da vedere. Le notizie che arrivano dal Belgio sono rincuoranti, ma non ancora definitive.
E soprattutto Giorgetti ha consapevolezza, e vorrebbe che questa consapevolezza fosse diffusa nel suo partito e nell’esecutivo, che nessuna vittoria diplomatica a Bruxelles solleverebbe l’Italia, dunque chi la governa, dal dovere di evitare avventurismi sul terreno della finanza pubblica. Perché, se anche si ottenesse davvero il riconoscimento di una via preferenziale per gli investimenti strategici, e insomma lo scorporo di una parte delle spese connesse al Pnrr e alla Difesa, ci sarebbe comunque da tagliare senza tentennamenti il debito pubblico, rispettando le raccomandazioni della Commissione: altro che Quota 41 per le pensioni, altro che Ponte sullo Stretto. Coi mercati non si scherza: i fili del debito e dello spread sono ad alta tensione.
L’argomento rimane non a caso in cima, insieme al dossier migranti, dell’agenda di Giorgia Meloni. La premier però, salvo sorprese, non ne parlerà con i suoi 26 omologhi al consiglio europeo di giovedì e venerdì a Granada. Al momento non è punto all’ordine del giorno e finirà per essere discusso invece a fine mese all’appuntamento di Bruxelles sempre del consiglio Ue.
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