la lettera
Il voto in Slovacchia offre oscure sensazioni per il futuro dell'Ue
I risultati delle votazioni a Bratislava sono i primi a essere condizionati dall'invasione russa in Ucraina. Sembra un ritorno alla solita Europa bilanciata dagli egoismi dei governi nazionali. Lezioni dalle urne
Al direttore - Non ho mai inseguito la facile retorica, né nelle sconfitte né nelle vittorie. Ma le elezioni in Repubblica Slovacca, anche se circoscritte nella tormentata storia recente di quel paese, sono il primo bagno di realtà in vista delle elezioni europee. È stata la prima elezione in cui il condizionamento dell’invasione russa nel territorio ucraino ha inciso in maniera determinante, consegnando la vittoria, anche se relativa e lontanamente sufficiente a formare un governo, ad una forza che ha proposto un sostanziale disimpegno al sostegno del proprio paese al popolo e al legittimo governo aggredito. È stata la prima elezione, dopo l’Ungheria e poco prima delle elezioni in Polonia, di un paese confinante con la regione interessata dal conflitto, nel versante orientale del nostro continente.
È stata un’elezione in cui la postura ideologica di Orbán nei confronti dell’Unione e del ritorno al nazionalismo ha tracimato i confini nazionali. È un’elezione che segna nuovamente la coerenza delle grandi famiglie politiche europee, dei due principali partiti e gruppi parlamentari in particolare, e dell’incapacità di registrare decisivi cambiamenti in senso federale di quei soggetti. Si ha la sensazione di un ritorno alla solita Europa bilanciata dagli egoismi dei governi nazionali, in un clima da fine della ricreazione. Se il voto avverrà nel perdurare di questo clima, l’Unione avrà ben poche speranze di percorrere quell’ultimo miglio che ancora la separa dal suo definitivo compimento. Ruolo del Parlamento, diritto di veto, unione fiscale, politica industriale, politica estera e di difesa saranno i capisaldi su cui chiedere il consenso dei cittadini europei già alle prossime elezioni, perché la prossima sarà legislatura costituente, e bisognerà ricevere un mandato chiaro. In questo scenario, non possiamo permetterci di sottovalutare ancora il peso esiziale che la propaganda sta esercitando sulle nostre democrazie è esiziale. Così come separare il sostegno agli aggrediti al desiderio di pace dei cittadini europei. L’Europa non ha mai inteso separarle.
Quel sostegno non va confuso con l’atto di staccare un assegno per un amico in difficoltà, cosa che stancherebbe prima o poi chiunque, ma è la nostra politica estera, è la posizione che determina le nostre relazioni internazionali, è la nostra sicurezza e indipendenza, è la nostra strategia di pace e di diritto internazionale. In special modo nel nostro confine meridionale e mediterraneo e ai nostri confini orientali. Abbiamo l’obbligo di comprendere fino in fondo che i paesi del dissolto blocco sovietico hanno vissuto quella rivoluzione dei primi anni ’90 tra due spinte: quella di adesione ad un continente libero e democratico; quella dell’orgoglio nazionale dopo decenni di oppressione delle identità.
Combinare queste due spinte non è stato semplice e ancora non lo sarà per lungo tempo, probabilmente. Ma è uno sforzo da compiere senza giustificazionismo, con gli strumenti del pluralismo e del progresso, senza delega in bianco ad un solo paese europeo, la Germania, che è evidentemente insufficiente allo scopo. In ultimo, i partiti politici, che dovranno essere la spina dorsale di un dibattito pubblico finalmente transnazionale. Il minimo da pretendere è che Robert Fico sia dichiarato incompatibile con il PSE, con la nostra storia e con il nostro futuro. È una presa d’atto, neanche una decisione. Andava certamente fatto prima, in occasione dell’uccisione di Jan Kuciak e Martina Kušnírová, e come già nel 2015 chiese la delegazione italiana. Ma il tema non si esaurisce in questo. I partiti e i gruppi parlamentari europei, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, sono chiamati ad assumere con le realtà nazionali che li compongono, decisioni non più rinviabili: veri partiti federali con sostanziali cessioni di sovranità politica, organizzativa, procedurale e democratica. Se buona parte della vita dei cittadini europei è condizionata dalle scelte che sono assunte da istituzioni europee, questa lontananza dei partiti dai luoghi della decisione pesa enormemente sulla democrazia europea.
Pina Picierno è vicepresidente del Parlamento europeo