L'editoriale del direttore
Niente scherzi su Kyiv, grazie
Orbán, Fico, Trump, la Polonia. Ok. E noi? Perché domare le tentazioni sfasciste di Salvini sull’Ucraina sarà la chiave per capire se Meloni avrà la capacità di non perdere la faccia dopo avercela messa. Test in arrivo
La notizia della crisi del sostegno occidentale all’Ucraina è ampiamente esagerata, direbbe forse Mark Twain. Ma anche per gli ottimisti come noi, dopo il weekend di passione, è inevitabile mettere insieme i puntini e fare due conti su quello che è lo stato dell’arte della difesa di Kyiv. In Europa, ovvio, ma anche in Italia. I punti fragili emersi improvvisamente negli ultimi giorni sono quelli che ormai conoscete. Due settimane fa, la Polonia ha annunciato di non voler più inviare armi all’Ucraina (non hanno più armi da mandare, anche se poi le dichiarazioni dure del premier Morawiecki sono state mitigate dalle parole del presidente Duda). Pochi giorni dopo, per proteggere i propri produttori, la Polonia, che andrà al voto il 15 ottobre, ha annunciato, insieme con Ungheria e Slovacchia, di voler proseguire con i divieti di importazione di grano ucraino (conflitto che c’è sempre stato ma che ora pesa di più, sia per ragioni elettorali sia in vista dell’entrata dell’Ucraina nell’Ue). Domenica, come sapete, Robert Fico (si pronuncia “Fitzo”), leader di un partito che fa parte del Pse, ha vinto le elezioni in Slovacchia e la sua posizione filoputiniana – il sostegno militare all’Ucraina “ha solo prolungato il conflitto”, “le sanzioni danneggiano l’Ue più di quanto facciano con la Russia” – ha ringalluzzito il primo ministro ungherese e filoputiniano Viktor Orbán (“E’ sempre bello lavorare insieme a un patriota. Non vedo l’ora!”) si teme che possa avere un riflesso negativo sull’azione dell’Unione europea (al Consiglio europeo, sia la Slovacchia sia l’Ungheria hanno la possibilità con il loro voto contrario di esercitare il diritto di veto su alcune decisioni dell’Ue).
A tutto questo poi vanno aggiunte anche le tensioni geopolitiche che attraversano da settimane altri confini che si trovano intrecciati con l’Europa. C’è il caso del Nagorno Karabakh, dove l’esercito azero, paese rifornito militarmente dalla Russia prima ancora che venisse rifornito da molti stati europei, ha conquistato il controllo dell’enclave degli armeni, portando avanti una forma moderna di pulizia etnica anche grazie al sostegno indiretto offerto dalla Russia al paese (gli azeri l’hanno chiamata “operazione antiterrorismo”). C’è il caso del Kosovo, al cui confine la Serbia sta ammassando truppe, artiglieria, carri armati e unità di fanteria, aprendo un nuovo focolaio di tensione in Europa. C’è, infine, il caso americano, dove domenica sera il presidente Joe Biden ha firmato un accordo per evitare la chiusura di tutte le attività governative per mancanza di copertura finanziaria (shutdown) eliminando (momentaneamente) dal pacchetto sei miliardi di dollari destinati all’Ucraina.
Gli scricchiolii esistono, inutile negarlo, ma sono scricchiolii limitati, in parte legati alle campagne elettorali che poco sposteranno. A meno che non capiti quello che oggi in molti si chiedono osservando l’Italia: il battito d’ali di una farfalla a Bratislava può provocare un tornado a Roma? Fuori di metafora, il punto è semplice: la destra italiana riuscirà o no a resistere alla tentazione di farsi influenzare dalla campagna elettorale americana, all’interno della quale i repubblicani trumpiani meneranno con forza le danze dei diffidenti verso il sostegno all’Ucraina?
Ieri, Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, in un’intervista al Corriere della Sera, ragionando sull’esito delle elezioni in Slovacchia, ha invitato a chiedersi perché “milioni di cittadini seguono questa linea, in particolar modo nell’Europa centrale e nell’est”. E dunque la domanda è lecita e legittima: riuscirà la Lega di Matteo Salvini a non trasformare la difesa dell’Ucraina in un terreno su cui costruire una competizione con il partito di Giorgia Meloni? Riuscirà Giorgia Meloni a tenere salda la sua formidabile linea pro Ucraina nonostante le titubanze dei suoi alleati polacchi, il Pis, che furono proprio coloro che nel febbraio del 2022 spinsero Meloni ad allontanarsi da Salvini sul tema della difesa dell’Ucraina? E riuscirà il governo Meloni ad affrontare la campagna elettorale per le europee rivendicando, sul tema della difesa di Kyiv, una distanza da Trump e Musk (che ieri ha twittato per prendere in giro Zelensky) e una vicinanza al grande avversario di Donald Trump, ovvero Joe Biden? E, infine, riuscirà l’attuale maggioranza a non spaccarsi quando nei prossimi mesi si riandrà a discutere il decreto sulle armi da inviare all’Ucraina, l’allargamento dell’Ue all’Ucraina, le sanzioni in Europa da incrementare contro la Russia e il finanziamento di fondi europei per il sostegno di Kyiv, come quello annunciato ieri dall’Alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell a Kyiv, dove è stata proposta una nuova dotazione bilaterale pluriennale del Fondo europeo per la pace fino a 5 miliardi di euro per il prossimo anno?
Sulla politica estera, Meloni si è giocata un pezzo importante della sua credibilità internazionale nei primi undici mesi di governo, e su quel fronte ha trionfato. Domare le tentazioni sfasciste del suo principale alleato sarà la chiave giusta per capire se la presidente del Consiglio avrà la capacità di non perdere la faccia dopo avercela messa. Si scrive Ucraina, si legge affidabilità. Niente scherzi, grazie.