(foto Ansa)

strano silenzio

Sul nuovo invio di armi a Kyiv, Salvini ferma i suoi (per ora)

Luca Roberto

Dopo la vittoria di Fico in Slovacchia, i leghisti si fanno ingolosire dal rilancio della strategia pacifista. Ma mentre Tajani annuncia un nuovo pacchetto di aiuti, preferiscono abbassare i toni. E adesso anche in Fratelli d'Italia iniziano a dire: "Pure Zelensky sbaglia"

Nella Lega hanno guardato al risultato delle elezioni in Slovacchia e hanno pensato: Fico! Vuoi vedere che in Europa adesso il sostegno militare all’Ucraina iniziano a metterlo in discussione un po’ tutti? Che insomma la linea del Carroccio, sempre più insofferente a votare nuovi invii di armi a Kyiv, possa infine risultare maggioritaria a livello comunitario? Quanto meno insidioso per il governo, visto che ieri il ministro degli Esteri Tajani ha annunciato al presidente Zelensky che l’Italia è a lavoro per un ottavo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina. Eppure le perplessità leghiste non sono una novità. E’ almeno dal famigerato viaggio fallimentare in Polonia, quello in cui venne sbertucciato dal sindaco di Przemyśl per le vicinanze filoputiniane, che Salvini ha collocato la Lega in una posizione intermedia tra chi vorrebbe sospendere il rifornimento di munizioni al presidente Zelensky. E chi invece, come la premier Meloni, la difesa dell’Ucraina invasa dalla Russia non ha intenzione di allentarla in alcun modo. Solo che con l’avvento delle elezioni in Europa, una specie di antipasto rispetto a quanto avverrà a giugno prossimo con le europee, la prevalenza della filosofia Meloni rischia di essere messa seriamente in discussione.

 

A Bratislava è prevalso l’ex primo ministro Robert Fico, un simil-Orban (ma di sinistra) che ha usato come slogan della campagna elettorale per farsi rieleggere proprio il mantra “basta armi a Kyiv”. E fa specie che nelle diverse capitali il fenomeno sotto osservazione sia questo tipo di strategia per acquisire consensi: con al centro la guerra, sì. Ma che abbraccia ricadute per lo più interne. Con il risultato che l’interessamento ai destini ucraini si fa sempre più tiepido. Questo nella Lega se lo sussurrano, sanno che potrà essere un fattore per acchiappare voti. E in teoria sarebbe il momento di gongolare, visto che era stato lo stesso capogruppo al Senato Massimiliano Romeo a consigliare alla premier, in un’intervista al Foglio, di non “rimanere ostaggio della propaganda bellicista”. E nelle innumerevoli occasioni in cui è intervenuto in Aula è stato più volte critico nei confronti della strategia diplomatica perseguita dall’Italia con gli alleati, perché “l’obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio”.

Solo che, paradossalmente, nel partito devono essersi accorti che dopo i migranti, gli alleati europei, i rapporti con la Germania, sarebbe forse troppo insistere anche sul rapporto con Kyiv. Questo strano silenzio, che appare tanto in contraddizione con le sparate del vicesegretario Andrea Crippa, sarebbe stato suggerito proprio dai vertici. Memori del colloquio della scorsa settimana tra Meloni e Salvini in cui la presidente del Consiglio al suo vice, dopo il Consiglio dei ministri che ha licenziato nuove norme sull’immigrazione, ha detto: “Basta inseguire il consenso a tutti i costi”. Fatto sta che dopo questo primo appuntamento elettorale, è con le elezioni in Polonia che lo scetticismo anti-Kyiv potrebbe toccare il suo zenit. Questo perché, come dicono all’interno del Carroccio, “a Varsavia stanno facendo tutta una campagna elettorale contro il grano in arrivo dall’Ucraina”. E questo, va da sé, si somma a una dissonanza non da poco: il principale alleato di Meloni, Mateusz Morawiecki, è anche lui in modalità “basta nuove armi”.

Uno sbilanciamento che ha registrato le prime crepe anche dentro Fratelli d’Italia. Ieri, per esempio, il capodelegazione di Fdi-Ecr al Parlamento europeo Carlo Fidanza, in un’intervista al Corriere ha detto che il risultato in Slovacchia va letto anche in ragione di alcuni errori del presidente Zelensky. “Forse alcune rudezze nelle sue parole verso gli alleati europei dovrebbero essere un po’ rimodulate”, ha detto. Il che non equivale a concludere che FdI è pronta a sfilarsi. Ma che certo una qualche convinzione un po’ meno solida serpeggi anche tra i meloniani. Deve essere stato anche questo ad aver convinto Salvini, dopo che l’alleata le ha prospettato persino il sorgere di eventuali “governi tecnici” qualora cadesse il governo, a non affondare il colpo. Almeno, non adesso.

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