Deficit, debito, Pnrr. Il governo ha tanti buoni propositi, ma li rimanda tutti al 2026
Tagliare il debito? Necessario, ma con calma. Il deficit? Va portato sotto il 3 per cento, ma non ora. Il Recovery serve alla crescita, ma gli investimenti previsti per oggi è meglio rinviarli. Giorgetti firma una Nadef piena di buone intenzioni, ma tutte rinviate
“Figli di Gondor, di Rohan. Fratelli (d’Italia) miei. Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore! Forse verrà un giorno in cui dovremo davvero ridurre il debito pubblico, ma non è questo il giorno”. Suggestione bizzarra, è vero, e forse dettata dalla passione per Tolkien di Giorgia Meloni. La suggestione è questa: Giancarlo Giorgetti che cavalca su Via XX Settembre, un po’ come Aragorn in rassegna delle truppe davanti al Nero Cancello. E però a leggere la Nadef, la suggestione sorge spontanea. Perché con le politiche virtuose, col rispetto dei vincoli europei, il ministro dell’Economia fa un po’ quel che si fa coi buoni propositi: li si rimanda sempre all’anno seguente. Anzi, in questo caso, al triennio precedente, se è vero che nei grafici elaborati dal Mef la dinamica di riduzione del debito si innesca solo a partire dal 2026. Quando a vigilare sui conti pubblici potrebbe esserci comunque Giorgetti. O forse no, forse chissà. Ma in ogni caso, “non è questo il giorno”.
Certo, il giorno arriverà. Su questo Giorgetti mostra pragmatismo, e smentisce semmai molta della retorica sovranista alimentata per mesi dal governo sullo stravolgimento delle regole europee. “Come già chiarito, nel 2026 l’indebitamento netto sarà ricondotto entro il limite del 3 per cento previsto dal Patto di stabilità e crescita”. Altro che proroga della sospensione dei vincoli. “Tale soglia resta il parametro europeo di riferimento per l’apertura di una procedura per deficit eccessivi a livello europeo, anche nell’ambito della prevista revisione delle regole fiscali”. Bisognerà ricondurre, dunque, entro la soglia del 3 per cento, il deficit. Ma non è questo il giorno. E infatti nel 2024 il deficit aumenta, anziché diminuire (4,3 per cento), e nel 2025 sarà comunque al 3,6 per cento. Poi, però, arriverà il momento. Perché “la politica di bilancio”, scrive Giorgetti con lessico vellutato, “diventerà lievemente restrittiva nel 2026 rispetto allo scenario tendenziale”.
Il tutto, sempre a patto che le stime di crescita fissate nella Nadef, e nel complesso alquanto ottimistiche rispetto a quelle elaborate da altri istituti internazionali, vengano confermate. E qui molto dipenderà dall’attuazione del Pnrr, ovviamente, come evidenziato anche dall’Ufficio parlamentare di Bilancio nel validare le stime tendenziali del Mef. Per il biennio 2025 e 2026, infatti, “il tasso di crescita del pil dell’Italia al termine dell’orizzonte di previsione appare più elevato delle stime sul prodotto potenziale formulate prima della crisi pandemica, per cui per essere realizzato necessita pienamente dello stimolo del Pnrr atteso dal governo”. E del resto anche sul fronte del Recovery, lo sforzo è rimandato. Ci sarà un giorno in cui bisognerà finalmente accelerare con l’attuazione del Piano, “ma non è questo il giorno”. E infatti, nell’illustrare la “rimodulazione del profilo temporale della spesa finanziata dal programma” del Next Generation Eu, si legge nella Nadef, è stata varata “una revisione al ribasso della spesa nel 2023 e nel 2024 e una conseguente maggiore concentrazione della stessa negli anni 2025 e 2026”.
Il che, peraltro, concorre a determinare l’altro rinvio, forse il più significativo: quello che riguarda la riduzione del debito pubblico. Inutile dire che anche qui, prima del 2026, sarebbe vano attendersi azioni incisive: se tra il 2022 e il 2023 il debito scende di 1,5 punti in un solo anno, fino al 2026 resta sostanzialmente stazionario, calando di appena 0,6 punti in tre anni. Poi, però, arriverà il giorno in cui ci si impegnerà davvero a farlo scendere. Ed è qui che si torna, appunto, all’attuazione del Pnrr. Il Mef ha elaborato tre possibili scenari sull’andamento del debito. Fino al 2026, tutto invariato. Poi la linea del debito segue tre potenziali traiettorie. La migliore è quella in cui, oltre a proseguire nell’aggiustamento fiscale, l’Italia si impegna nel varo delle riforme concordate con Bruxelles nell’ambito del Recovery: quasi 20 punti di debito in meno in otto anni, fino alla soglia del 121,5 per cento nel 2034. Poi c’è una linea intermedia, quella che fotografa un aggiustamento fiscale in sintonia con quello avviato dal governo nel triennio, ma senza una piena attuazione del Pnrr: il debito scende, ma in maniera assai meno netta. Infine, lo scenario peggiore, quello in cui, oltre a perdere la sfida del Recovery, si abbandonasse anche l’approccio prudente rivendicato da Giorgetti: e in quel caso il debito esplode, fino al 148,1 per cento nel 2034. In sostanza, il Mef ci dice: gli effetti del nostro aggiustamento fiscale si faranno sentire sull’andamento del debito, ma solo dopo il 2026. Riconoscendo però, al contempo, che su questa prospettiva gravano due incognite: uno riguarda “le spese legate all’invecchiamento della popolazione”, l’altro ha a che vedere con le proiezioni dei rendimenti dei Btp, con un previsto “aumento del tasso implicito pagato sui titoli del debito pubblico a partire dal 2026”. E qui, allora, colpiscono due dati. Il primo è che nella Nadef le previsioni della spesa pensionistica in rapporto al pil, anche per effetto delle politiche volute dalla Lega e dal centrodestra, tendono all’insù negli anni a venire, proprio a partire dal 2026. L’altro dato riguarda la spesa per interessi, pure questa destinata a salire “fino a raggiungere il 4,6 per cento del pil nel 2026”. Né sull’uno né sull’altro aspetto, il governo spiega come intende intervenire. Ché evidentemente intervenire si deve: “Ma non è questo il giorno”.