cortocircuiti
Destra o sinistra, la libertà d'espressione invocata solo quando fa comodo
Difendono il free-speech e dopo cinque minuti invocano il silenzio istituzionale. Dal caso Vannacci a quello della magistrata Iolanda Apostolico: una repubblica (s)fondata su un demenziale arbitrio di parole
Oggi sono per il free-speech. Domani per la cancel culture. Adesso difendono la libertà d’espressione, dopo cinque minuti invocano il silenzio istituzionale. Destra e sinistra hanno una contraddizione grande quanto una casa – anzi, quanto un caso: il caso Vannacci – nello scontro sulla magistrata di Catania che ha liberato i primi quattro tunisini rinchiusi nel Cpr di Pozzallo, mettendo in discussione la politica del governo contro l’immigrazione clandestina. Gli uni, infatti, la attaccano con argomenti opposti a quelli con cui ieri difendevano il generale. E gli altri fanno l’opposto: la difendono imbracciando i princìpi che ieri osteggiavano. Quanto a lei, la magistrata Iolanda Apostolico, ha detto di aver deciso della sorte dei quattro stranieri sulla base di motivazioni esclusivamente giuridiche.
Ma sarebbe senz’altro più facile crederle se in passato non avesse promosso sulla propria bacheca Facebook una raccolta di firme per le dimissioni di Salvini allora ministro dell’Interno; invocato una “sinistra a sinistra di Nichi Vendola”; invitato a partecipare a manifestazioni di Rifondazione comunista. Come sarebbe stato più credibile Vannacci, se avesse indossato la divisa dell’esercito – come ha detto il ministro Crosetto – senza far conoscere le proprie opinioni sulle femminste, i gay e gli immigrati così come invece le ha esposte nel suo bestseller, “Il mondo al contrario”.
E’ che qui, di ribaltata, c’è soprattutto la logica. A fine agosto, quando il generale era già stato sospeso dall’incarico all'Istituto geografico militare, Matteo Salvini aveva difeso la sua libertà d’espressione, accostandolo al filosofo Giordano Bruno: “La condanna al rogo nell’era moderna”, aveva detto, “non mi sembra assolutamente ragionevole. Prima di chiedere l’abiura galileiana è giusto capire”. Invece lunedì, quando è uscita la notizia che la magistrata aveva assunto in passato alcune posizioni contro la linea anti immigrazione, il vicepresidente del Consiglio è passato dalla parte dell’Inquisizione: “La Lega chiederà conto del comportamento del giudice siciliano in Parlamento. I tribunali non possono essere trasformati in sedi della sinistra”. Viceversa: in difesa della magistrata, Elly Schlein ha accusato il governo di “alimentare lo scontro istituzionale”, mentre contro Vannacci e i suoi difensori lo suggeriva, dicendo che “la Costituzione non mette tutte le opinioni sullo stesso piano, non garantisce libertà a chi vuole negare diritto di espressione a gruppi di persone”.
Dacché s’intuisce che la nostra non è più una Repubblica: è il regno dell’anarchia di giudizio, nel quale il principio che invoco oggi, domani lo ribalto. Tanto è vero che hanno preso anche il profilo social del compagno della magistrata, Massimo Mingrino, funzionario al Palazzo di giustizia di Catania, e hanno scoperto che ha esultato contro Salvini il giorno della mancata convalida del fermo di Carola Rackete. Gli uni considerandola una prova in più delle ripugnanti idee della magistrata; gli altri ritenendo una barbarie attribuire alla moglie le idee del marito. Ma senza che nessuno di loro abbia fatto caso al fatto che nel caso di Andrea Giambruno, compagno della presidente del Consiglio (nelle occasioni in cui le sue parole creano polemiche), le loro posizioni sono esattamente rovesciate: i primi si appellano alla sacra libertà di stampa, i secondi all’alto dovere di tappargli la bocca.
Aveva detto Guido Crosetto che “ci sono alcune persone, in Italia, che possono restringere la libertà delle persone e usare la forza”, riferendosi precisamente ai magistrati e ai generali dell’esercito, “e queste persone hanno un dovere di terzietà in più”. Dovrebbero perciò rinunciare alla vanità di dire la propria, intervenire d’impeto nell’attualità, esprimersi senza filtri. E, visti i tempi, farebbero bene ad ascoltarlo. Per calcolo, più che per convinzione. Giacché crediamo tutti di essere padroni delle nostre parole. Mentre, nell’èra di internet, sono le parole che sono padrone di noi. Come ha scoperto la magistrata Apostolico di Catania: ogni cosa che dici, potrà essere usata contro di te.