(foto Ansa)

verso la legge di bilancio

Il piano di Schillaci: “Quattro miliardi per la sanità? Si può fare”

Luca Roberto

Il ministro della Sanità spera ancora di ottenere in Manovra tutte le risorse di cui ha bisogno. E intanto incassa le rassicurazioni di Meloni e Giorgetti. Basteranno?

Dimissioni? Anche no. Qualcuno, anche all’interno della maggioranza, lo ha descritto come un ministro un poco insofferente. Ché in fondo, da tecnico, Orazio Schillaci era stato nominato anche per presidiare un dossier molto delicato. Soprattutto, che chiama in causa un’interlocuzione fitta con le Regioni. Le quali non a caso, nel Festival organizzato gli scorsi giorni a Torino, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e alla premier Giorgia Meloni, hanno molto battuto sul tasto. Da quando il governo ha presentato la Nadef, la sanità è diventata un argomento a cui i giornali concedono paginate e paginate, i talk-show danno minutaggio, assecondando il dibattito alimentato principalmente dalle opposizioni. Che sono tutte prese ad accusare Meloni & Co di voler stringere la cinghia, sottodimensionando il Servizio sanitario nazionale. Lui, Schillaci, aveva chiesto in tempi non sospetti una disponibilità economica da destinare alla sanità non inferiore ai 4 miliardi di euro. Secondo le stime della Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, però, il finanziamento dovrebbe essere inferiore, tra i 2,5 e i 3,5 miliardi. “Ma io resto fiducioso che entro la presentazione della legge di Bilancio si possano reperire tutti i fondi richiesti. Meloni e Giorgetti sono stati i primi a fornirmi  rassicurazioni”, è stato il pensiero confidato dal ministro ai più stretti collaboratori. “Poi certo, le risorse sono quelle che sono, e ogni ministero cercherà di avanzare le proprie richieste. Ma stiamo a vedere cosa succede”.

 

Quando martedì Meloni è intervenuta a Torino, ha fornito uno spunto che al ministero della Salute condividono a pieno. “Quello che non potrà essere fatto quest’anno, lo si affronterà nell’orizzonte della legislatura. Abbiamo altri quattro anni davanti”. Ma è certo che la priorità non cambi: la gran parte di quei quattro miliardi dovrebbe servire a smaltire le liste  d’attesa che ingessano alcune regioni in particolare, facendo uno studio rigoroso affidato alle strutture ministeriali competenti. Qual è la soluzione pratica? Assumere medici e infermieri. E mettere  fine al fenomeno dei “gettonisti”, stabilizzando gran parte del personale, “per rendere più attraente lavorare nel pubblico”. Per reperire risorse aggiuntive, si starebbe facendo strada l’ipotesi di tassare maggiormente il gioco d’azzardo per far confluire più soldi nel gettito, come proposto dal senatore di Fratelli d’Italia Francesco Zaffini, presidente della commissione Affari sociali del Senato.

 

Ieri Schillaci ha annunciato la volontà di istituire “un’autorità che controlli quello che accade nelle liste d’attesa nelle singole regioni, che verifichi prestazione per prestazione e sia in grado di intervenire rapidamente se si allunga la lista d’attesa su una determinata prestazione diagnostica in una determinata regione”. Ma c’è una novità aggiuntiva, non ancora annunciata ma che è stata discussa dai vertici del ministero. Proprio sposando l’esigenza di spendere bene le risorse a disposizione, Schillaci vorrebbe istituire una struttura centralizzata che monitori e coordini l’attività delle regioni: in pratica, individui con più facilità dove si annidano lentezze e sprechi. Una specie di riaccentramento a Roma che chissà come possa essere preso dai diversi presidenti di Regione.

 

Fatto sta che questa rinnovata insistenza delle opposizioni sul finanziamento del Sistema sanitario, è stata letta quasi come un assist a Schillaci. Quanto meno nell’impegnare il governo a tenere in considerazione le esigenze di un ministero così delicato. Mentre per quel che riguarda l’accesso ai fondi del Mes sanitario, che darebbe all’Italia una boccata d’ossigeno di una trentina di miliardi, la contrarietà di Schillaci è netta: “In un momento così delicato per i conti pubblici, non ci si può permettere di fare altro deficit”, è il succo del suo ragionamento. Ma – ci si chiede – se non dovesse avere tutti i soldi che reclama, potrebbe emulare l’esperienza di un altro ministro che minacciava le dimissioni se non gli avessero dato abbastanza soldi e poi lo ha fatto davvero, come l’ex titolare dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti? Per ora considerazioni di questo tipo non sono assolutamente all’ordine del giorno. Anche perché, per l’appunto, “ciò che non faremo quest’anno potremo farlo i prossimi”.

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