Verso il Consiglio Europeo
Meloni rincuora Zelensky sulle armi (senza farlo sapere). Poi impone un vertice a sei sui migranti
A Granada la premier e il presidente discutono del rafforzamento della difesa aerea in Ucraina. Nel pomeriggio, e nonostante la presidenza spagnola contraria, il confronto con von der Leyen e i leader di Regno Unito, Olanda, Albania e Francia: lotta ai trafficanti, rimpatri e sostegno al nord Africa i temi principali
Granada, dal nostro inviato. Dispositivi di sicurezza spiegati, strade bloccate. “Vamos, vamos”. Di prima mattina piomba nel centro congressi di Granada la camicia verde militare Volodymyr Zelensky. Non è un ologramma, tipo quello che avevano in mente in Forza Italia per ricordare la memoria del Cav., ma il presidente dell’Ucraina è venuto qui in carne e ossa. Vuole tastare il polso dell’Europa allargata: se è cambiata l’aria nei suoi confronti. Tra i primi bilaterali c’è l’incontro con Giorgia Meloni, da sempre vicina a Kyiv nonostante l’opinione pubblica italiana inizi forse a essere stanca, o almeno disinteressata alla guerra mossa dalla Russia. La premier sa che anche in casa – vedi la Lega ma non solo – i borbottii cominciano a essere sempre di più. Lo sa anche Zelensky, Meloni lo rincuora. Senza sbandierarlo.
D’altronde da Roma rimbalzano le polemiche, al netto delle smentite di rito, fra Antonio Tajani e Guido Crosetto sull’ottavo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina e anche la caccia a “ottobre rosso”, cioè un leghista che dica in chiaro e a virgolette aperte ciò che tutti nel Carroccio pensano: “Basta armi a Zelensky”. Con questi rumori di sottofondo il presidente si incontra con l’amica “Giorgia”. Lui le dice, e lo fa sapere: “Qualsiasi indebolimento dell’assistenza militare all’Ucraina contribuirà al rafforzamento degli occupanti e a ripetuti tentativi di conquistare nuovi territori ucraini”. I due discutono del rafforzamento della difesa aerea. Nella nota di Palazzo Chigi, le armi non vengo invece menzionate. Si parla genericamente di “un continuo e convinto sostegno a 360 gradi del governo italiano”. Sono sfumature non banali. Se è vero che anche fonti diplomatiche nel pomeriggio, prima che tutta la comitiva si trasferisca all’Alhambra, minimizzeranno cercando di restare più vaghi possibile sulle armi. Altro dettaglio ancora più interessante: Meloni, al contrario di Zelensky, evita di pubblicare sui social network la foto dell’incontro con il leader della resistenza. Curioso, no? Non si discute l’appoggio, ma forse l’opportunità di rivendicarlo, anche perché le elezioni europee sono dietro l’angolo e pure Fratelli d’Italia da tempo ragionano su quanto il tema sia poco popolare e non serva ad acchiappare voti, anzi il contrario.
La giornata con la visita del presidente ucraino diventa ancora più pregnante. Per un incrocio del destino, mentre lui sta a Granada, arriva la notizia dei russi che hanno bombardato un bar e un negozio del villaggio di Groza, vicino a Kupiansk: 51 morti, secondo le prime stime. La Granada di Meloni inizia dunque in Zelensky e termina con un vertice a sei sull’immigrazione che non era in programma. E’ stata la premier a imporlo, nonostante la presidenza spagnola fosse contraria. Rishi Sunak, Mark Rutte, Edi Rama: all’inizio il formato era questo, a quattro, ma allargabile. Italia, il Regno Unito, poi l’Olanda e l’Albania. Obiettivo iniziale: discutere di possibili iniziative operative, in ambito bilaterale e multilaterale, a contrasto del traffico di esseri umani. Un format nato per avere i rappresentati di due Paesi Ue e due non Ue, due del nord Europa oggetto di movimenti secondari, due del sud Europa principalmente oggetto di movimenti primari. Semplice, no? Con l’asse super conservatore e rigorista tra Meloni e Sunak. Poi però il vertice è diventato qualcosa di più importante, perché a entrare nella saletta, su spinta di Meloni, sono stati Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen. Formato a sei.
Da parte della premier italiana è stata un’operazione politica e diplomatica importante, visto quanto traballi ancora il memorandum di Tunisi. Anche se il vertice non finirà nelle conclusioni del Consiglio europeo di domani, ha prodotto comunque un documento. Oltre a segnare un’intesa sicuramente interessata fra la premier, la presidente della commissione ed Emmanuel Macron, diventato quasi “mon ami” agli occhi di Meloni, che prima lo detestava cordialmente. Alla fine il formato a sei, guidato dall’Italia, ha vergato un’intesa che certo rimane ancora sulla carta, ma di cui bisogna dare conto. Dall’azione robusta contro i trafficanti a un maggiore supporto ai paesi partner, all’Oim e all'Unhcr per l’assistenza ai migranti nei rimpatri fino al sostegno ai paesi nordafricani per la protezione delle frontiere e contro gli ingressi: sono questi i punti principali nel documento.
Sono stati concordati da Italia, Gran Bretagna, Olanda, Albania, Francia e Commissione Ue. Non era una situazione prevista, invece è accaduta: è un fatto. Non era scontato. Chissà quanto funzionerà, ma segnala comunque l’iniziativa di Meloni per cercare di risolvere un problema che l’assilla, che fa parte della sua propaganda, che la espone alle intemerate di Matteo Salvini: l’immigrazione. E dunque gli sbarchi. Soddisfatta per l’operazione, che va testata alla prova dei fatti, Meloni è salita su all’Alhambra, accolta dal re e dalla regina di Spagna, per la cena dei 50 leader. E domani incontra Olaf Scholz.