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Hamas, Israele e la sinistra

Borghi e il centrosinistra diviso sul conflitto: "Il Pd non segua i 5 stelle, non possiamo permetterci ambiguità"

Marianna Rizzini

Il Pd, i Cinque stelle e le ambiguità su Hamas. Parla il capogruppo di Azione-Iv: "L'attacco di Hamas è maturato in un mosaico in cui si concretizza quello che sarà il grande scontro tra democrazie liberali occidentali e autocrazie"
 

“Ovunque nel mondo per avere più sicurezza si sta investendo, e tagliare i fondi per le spese militari rischia di far venir meno il meccanismo della deterrenza, con danni pesanti per tutti. Ma sulle spese militari i Cinque stelle non calcolano i rischi. O forse preferiscono avere Mosca e Teheran come interlocutori?”. Così twittava due giorni fa Enrico Borghi, capogruppo di Azione-Iv al Senato ed ex senatore Pd, a proposito della risoluzione M5s sul Nadef. “Che farà il Pd su questa logica ‘peace and love’?”, si chiedeva. La domanda resta nell’aria, tanto più che nel centrosinistra l’evidenza è quella di una non-unanimità di posizioni sul tema Israele-Hamas. E i fatti la fotografano, a partire dalle diverse risoluzioni presentate in Parlamento e giù fino agli schermi dei talk show (vedi la frase “per me Netanyahu è un criminale” detto su La7, a DiMartedì, da Alessandro Di Battista, ex deputato m5s). “Chiediamoci”, dice Borghi, “in quale contesto è avvenuto l’attacco terroristico di Hamas. Se si risponde guardando la realtà con le categorie di oggi, e non di ieri, cioè di un Novecento dove si è sviluppato il conflitto tra paesi comunisti e democrazie liberali, si vede che l’attacco di Hamas è maturato in un mosaico in cui si concretizza quello che già è, e temo sarà, il grande scontro del ventunesimo secolo, quello tra democrazie liberali occidentali e autocrazie, mediorientali e non solo”.

In questo quadro, dice Borghi, il Mediterraneo diventa “quasi un lago, per l’elemento di forte interrelazione tra i paesi lungo le sue sponde, e il limes di questa vicenda. L’Italia si trova al centro di questo scacchiere. C’è bisogno allora di una riflessione strategica, per opporsi al terrorismo e al radicalismo islamista, e di una coerenza di fondo che non tolleri ambiguità e finti buonismi sui temi della politica estera e della difesa”. E se a essere ambigui sono gli alleati? “Il M5s, e non da oggi”, dice Borghi, “ha un approccio a queste questioni che lo colloca idealmente lungo la direttrice Mosca-Teheran-Pechino. Una posizione legittima ma che crea un problema politico al Pd: è possibile costruire una coalizione di governo con un partito che in politica estera ha un’impostazione di questo tipo? Io dico di no. E penso sia una furbizia levantina di cortissimo respiro immaginare di costruire un accordo con Conte prescindendo da ragionamenti che coinvolgano la politica estera e di difesa, fingendo quasi non esistano”.

Elly Schlein a “Porta a Porta” ha parlato di politica estera. “Sì, ma rilanciando il multilateralismo, ripetendo la frase ‘due popoli due stati’. Solo che oggi non siamo nel 1993, dopo gli accordi di Oslo, accordi per cui l’ex premier israeliano Yitzak Rabin ha perso la vita, assassinato da un estremista. E si ricordi, come ha scritto ieri Antonio Polito sul Corriere della Sera, che la Striscia di Gaza è stata restituita ai palestinesi nel 2005 dal governo di Ariel Sharon, premier tra i più duri della destra israeliana. Sharon ha mandato l’esercito a sgombrare con forza i coloni ebrei, una scelta radicale che ha portato a una spaccatura interna nel Likud. Due anni dopo, Hamas ha occupato la Striscia, sostenendo, in linea con il radicalismo islamista, che Israele doveva essere cancellato dalle carte geografiche e parlando di guerra santa anche oltre i suoi confini. Ecco, se non partiamo da un principio di realismo e ci nascondiamo nell’irenismo, non andiamo da nessuna parte. Se ti rifugi nel sogno, quando ti svegli la realtà ti schiaffeggia”.

Il Pd si rifugia nel sogno? “Il nuovo Pd immagina che sia possibile, e lo cito, ‘riconnettersi sentimentalmente’ con il suo popolo rievocando questioni d’antan in un quadro mutato. Ma Hamas non è una delle parti in causa, è un gruppo terroristico militare. Non ci possiamo permettere, nel centrosinistra, posizioni alla ‘né con lo stato né con le Br’. Il Pci anni Settanta aveva gli anticorpi per reagire, mentre oggi mi pare che si tenda a farsi subacquei rispetto alle tesi di chi, a sinistra, è stato sconfitto nel ’67-’68. In questo vuoto pneumatico, vogliamo che quella cultura minoritaria e confusa, non a caso sollevata anche dai populismi, diventi egemone? Ci sono momenti storici spartiacque in cui bisogna scegliere una linea e seguirla, e questo lo è, come nel secondo Dopoguerra. I riformisti non possono restare afoni rispetto ad ambiguità e falsità mediatiche”. 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.