Il retroscena
Meloni e il bivio di Varsavia: deve scegliere fra Salvini e la nuova Commissione
Dopo Vox, tocca agli amici del PiS polacco allontanarsi dal governo. Dentro Fratelli d'Italia c'è chi auspica una nuova fase della leader conservatrice nel segno del pragmatismo verso uno schema Ursula bis
Lei ancora non ne parla. E i suoi vice sono divisi. Matteo Salvini si limita a dire, gelido, che “esclude” qualsiasi sostegno del governo e del principale partito italiano, Fratelli d’Italia, a uno schema europeo modello Ursula bis; Antonio Tajani per non mettere in difficoltà gli alleati non esulta pubblicamente, al contrario del resto di Forza Italia, ma con i collaboratori si dice “contento della vittoria della maggioranza guidata dal popolare-liberale Donald Tusk perché è il successo di una Polonia più dialogante con la Ue”. In mezzo, appunto, c’è lei: Giorgia Meloni. La premier è stretta fra le spinte dell’ultradestra e il dialogo con l’asse popolari-socialisti (più i liberali) destinato a dare ancora le carte a Bruxelles. Per la leader dei conservatori è il bivio di Varsavia.
Mentre la Polonia ieri mattina era alle prese con il lento scrutinio che allontanava comunque dal governo Giustizia e Libertà (dunque il PiS del tandem Kaczyski-Morawiecki), Giorgia Meloni non ha lasciato spazio alle domande post manovra perché attesa, con calcolata coincidenza, dal re di Giordania Abdallah II per discutere di medio oriente.
L’esito di queste elezioni, dopo la performance spagnola di Vox per cui si era anche spesa in prima persona con un videomessaggio alla vigilia delle urne, ridisegna il cammino europeo della leader di Fratelli d’Italia. Nel partito di Via della Scrofa la prima reazione, più tattica che strategica, porta per esempio Nicola Procaccini, co-presidente dell’Ecr, a complimentarsi con PiS per essersi confermato primo partito polacco, chiedendo a Tusk di non imbarcare al governo i socialisti. E però dietro le quinte i ragionamenti sono altri. Aspettando che Meloni si esprima pubblicamente c’è chi in FdI auspica una svolta, all’insegna del pragmatismo. Delle cose cambieranno. Per esempio a partire da gennaio, quando si sarà formato il governo di Varsavia, Meloni non troverà più in Consiglio europeo Mateusz Morawiecki che negli ultimi vertici, in compagnia di Viktor Orbán, è stato sempre dall’altra parte rispetto alla presidente del Consiglio. Soprattutto quando c’è stato da discutere e votare la redistribuzione dei migranti (l’ultimo caso anche al Consiglio europeo informale di due settimane fa a Granada, ma è successo anche a fine giugno). Meloni dunque da gennaio perderà formalmente un alleato in Consiglio e si ritroverà sola con il conservatore ceco Peter Fiala (capo del Partito democratico civico in coalizione con partiti moderati vicini ai Popolari). Fiala potrebbe diventare dopo le elezioni europee il prossimo presidente dei conservatori, raccogliendo il testimone da Meloni. Tuttavia, alla luce delle urne polacche e spagnole, è la strategia della premier che può mutare radicalmente. A Bruxelles c’è chi cita un precedente interessante: quello dei Tory britannici che dal 1999 al 2009 costituirono un gruppo federato con i popolari (qui ci sarebbe la vicenda polacca a complicare il tutto). Sarebbe questa la prima manovra di avvicinamento verso le famiglie che da sempre guidano la commissione. Anche perché quando dopo le elezioni di giugno ci sarà da indicare in Consiglio europeo il candidato alla presidenza della Commissione difficilmente l’Italia potrà votare in maniera diversa rispetto a Francia, Germania, Spagna, Polonia e via discorrendo. E lo stesso schema potrebbe ripetersi anche in Parlamento.
La posta in gioco per l’Italia riguarda anche la nomina di un commissario ecco perché tutto si fa più difficile, a partire dallo scenario di un accordo fra la capa di Fratelli d’Italia e i sempre osteggiati liberali di Macron per non parlare dei socialisti, nemici numeri uno. In queste traiettorie, non ancora decise fino in fondo e che si scontreranno con le evidenze aritmetiche dei 27 paesi della Ue al voto il prossimo giugno, c’è il rischio Matteo Salvini. Nel 2019 la Lega prese il 34,9 per cento che però lo pose comunque ai margini delle decisioni che contano in compagnia dell’amica Marine Le Pen e di altri partiti dell’ultradestra. Gli stessi che adesso, sotto le insegne della famiglia di Id, vorrebbero spingere Meloni verso il richiamo della foresta identitaria, forte nel dare addosso alla Ue ma ininfluente nella stanza dei bottoni. Uno scenario che la premier, vista anche la situazione geopolitica tra Ucraina e medio oriente, non può permettersi. Ecco perché la sconfitta della Polonia e l’indebolimento dei fratelli di Visegrad può essere una buona notizia per Meloni, viste anche le posizioni diverse assunte da Francia e Germania nell’ultimo periodo, pronte a battaglie comuni, dai migranti al bilancio, con Roma.