Ecofin

Gli "schiaffoni" della Germania a Giorgetti. A Meloni serve san Draghi

Carmelo Caruso

Sul nuovo Patto di stabilità, Germania e Olanda si irrigidiscono e vogliono parametri fissi. La golden rule di Giorgetti, al momento non passa. Meloni riflette sull'importanza di avere Draghi al Consiglio Europeo

Ecco il saldo degli “schiaffoni” di Giancarlo Giorgetti: in Cdm le ha date, all’Ecofin le ha prese. Non c’è accordo sulla riforma del patto di stabilità. Anzi, c’è un irrigidimento  della Germania. Se ne riparla il 9 novembre. La richiesta italiana di scorporare gli investimenti strategici, al momento, non passa. Daniele Franco non ha possibilità di fare il presidente della Bei. In Italia si dice “prese”, ma c’è chi dice pure che questo ministro va abbracciato: “Come incassa lui nessuno, magari qualcosa ottiene, alla fine”. Da Berlino in su nessuno crede agli italiani, ma si fidano di Draghi. Ora è beato, ma Meloni potrebbe chiedere di farlo santo, San Mario della Pieve.


Dunque quanti belli schiaffoni. Era solo lunedì mattina quando Giorgetti li somministrava, a dosi, ai suoi ministri. Lo diceva in conferenza stampa dopo l’approvazione del Def, “abbiamo dato degli schiaffoni ai ministri, a beneficio degli italiani”. Sorridente, prende l’aereo, vola in Lussemburgo, in trasferta, e li riceve dal suo amico tedesco, il collega, Lindner. Non si vuole fare una colpa al ministro dell’Economia, che ha definito, in passato, Lindner un amico, ma in Europa non ci sono amici, tutt’al più solo persone cortesi. In questa contesa, sul Patto di stabilità, l’Italia sta con la Spagna della ministra Calviño, la donna che sarà indicata, ormai è quasi fatta, presidente della Bei al posto del nostro candidato Franco, l’ex ministro di Draghi, un servitore perbene, che non ci ha mai creduto a questa candidatura. La proposta Calviño in sintesi è questa: riduzione del debito ma senza un parametro fisso. Annuale. Giorgetti dice che la proposta della ministra spagnola è la proposta di Giorgetti. La somma purtroppo, in Europa, non fa il totale. Ieri, seduto di fronte ai suoi colleghi, Giorgetti ha chiesto ancora lo scorporo degli investimenti legati alla Difesa per l’Ucraina e alla transizione energetica. Chiede di scomputarli dal debito, perché “le spese legate alle priorità europee sono obiettivi che le politiche fiscali europee non possono ignorare”. Si chiama “golden rule”, almeno i competenti la chiamano così, e quando l’ha ascoltata, nuovamente, il vicepresidente, il Commissario all’Economia, Valdis Dombrovskis, mancava poco e faceva muovere i tank da Berlino. Faceva sapere a Giorgetti, e agli italiani, che “non c’è consenso sulla cosiddetta golden rule”. Cosiddetta. Finiva uno e iniziava l’altro, il ministro amico, Lindner. Ai giornalisti tedeschi rilasciava la seguente dichiarazione: “Il patto di stabilità si può modificare solo se si riduce il debito pubblico in maniera credibile”. E cosa intende per riduzione credibile? Intende questo: “Una riduzione credibile potrà avere successo solo se verranno ridotti anche i deficit annuali. Per la Germania il tre per cento è il limite massimo del deficit”. E’ avvelenato perché le elezioni gli sono andate male. Perché dovrebbe fare una carezza agli “italieni”? Gli olandesi in questi casi, in economia, seguono i tedeschi pure al pub. E siamo a tre: il commissario all’Economia, il ministro tedesco e la ministra olandese. La ministra del paese dei tulipani è Sigrid Kaag e anche lei parla di “soglie numeriche”, di traiettorie misurabili. Fisse. Dicono che non gli basti neppure il tre per cento, ma che pretenda qualcosa in meno. I paesi frugali, rigoristi, sono in tutto quattrodici su ventisette e a Ecofin concluso, ripetevano, attraverso spifferi (ci sono pure in Europa; tutto il giornalismo è paese) che “per L’Italia si è già fatto molto, tanto. Ora vuole imporre altre regole d’oro. Hanno avuto già abbastanza flessibilità. Hanno la possibilità di ridurre il debito in un periodo di quattro sette anni. Ulteriori concessioni sono eccessive e sbilanciate”. Non si accontentano di promesse tanto più che l’Italia, a parte le cesoie da giardiniere di Giorgetti, non ha molto da offrire. Sul Mes, Salvini ha detto tutto: “La posizione della Lega la vedrete, se, e quando voteremo il Mes”. In questi anni, dopo il Covid, il patto di stabilità è stato sospeso e giustamente, fanno notare, sempre a Bruxelles, “siete stati capaci di inventarvi il Superbonus”. E’ vero che resta la Francia ma, a occhio, almeno da quanto diceva il suo ministro Le Maire, fa la Francia, la grandeur, e parla con Berlino: “Ci sono difficoltà importanti ma possiamo raggiungere il nostro obiettivo. Raggiungere un accordo entro l’anno”. I siti spagnoli titolavano ieri che Parigi e Berlino hanno le leve per sbloccare il negoziato sul patto. L’Italia, dispiace, ma non c’è. La verità è che Giorgetti, da solo, non basta. Dicono, sempre da lassù dove qualcuno ama, e davvero, Meloni, che l’Europa sta solo “issando i ponti levatoi per far capire a Meloni che è il momento di diventare adulta, scaricare la sua vecchia famiglia, la destraccia”. Alle Europee vinceranno ancora liberali e socialisti e Meloni lo ha compreso. C’è una frase che Matteo Renzi ha pronunciato alla Festa del Foglio: “Meloni faccia il nome di Draghi alla Commissione Europea”. La casella su cui ragionano anche a Palazzo Chigi è un’altra. E’ quella da presidente del Consiglio europeo. Draghi è entrato tra i beati d’Italia, ma Meloni ha bisogno di santi e l’ex premier è l’unico che può placare i paesi frugali. Giorgetti è da anni che tiene il suo santino nel portafogli: “San Mario della Pieve, prega per me”.

Preghiamo.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio