Governo nel pallone
Calcio di Meloni. Stop agli sgravi. Salvini ha un suo nome per la Figc
La premier va in battaglia contro i club, e Lotito. Salvini apre un nuovo fronte e chiede le dimissioni di Gravina, al suo posto un commissario. Ecco il possibile sostituto
Roma. Sembra un film di Lino Banfi: un Meloni nel pallone. Tre storie, tre episodi. Una riguarda la manovra, l’altra Salvini, la terza è la solita: c’è Claudio Lotito, il Pancho Villa del calcio, in queste ore in riunione permanente: “Mi richiami, riunione”. Cominciamo. Il governo mette fine alle agevolazioni fiscali del dl Crescita per i calciatori. La firma è di Maurizio Leo, viceministro di FdI. Lotito lucida già l’ armatura. La norma, nella versione iniziale, colpisce i bilanci del 2023. I club si militarizzano. A Palazzo Chigi, viene convocato uno spogliatoio d’emergenza: “Aggiustiamo”. La premier: “Non se ne parla”. Rigore!
Partiamo dalle agevolazioni. Dal 2019 le società di calcio che acquistavano calciatori esteri avevano il 90 per cento degli sgravi. Le condizioni per averli: il calciatore deve avere più di 20 anni, deve percepire più di un milione di euro e prendere la residenza per cinque anni in Italia. Tra Chigi e Mef, dove hanno assemblato una manovra di schiaffoni (la parola è stata brevettata da Giancarlo Giorgetti) pensano bene che una norma per favorire il ritorno in patria dei cervelli va bene, ma agevolare il calciatore svippato, con il gippone, anche no. La norma nuova è severissima ed è contenuta nel decreto delegato sulla fiscalità internazionale di Leo. Non se ne accorge nessuno anche perché nel comunicato di Palazzo Chigi, dedicato a “lavoratori impatriati e reshoring di aziende”, si scrive il contrario. Questo: “Invariate le disposizioni per i ricercatori, professori universitari e lavoratori dello sport già previste”. Il governo assicura che non ci sono “manine” (al massimo qualche ditino dello staff del bravissimo ministro dello Sport, Abodi). Non c’è motivo di non credere a questa versione. Ce n’è un’altra, ed è quella del diavolo. Si dice che nello spogliatoio Fazzolari-Mantovano qualcuno avesse provato ad “aggiustare” anche solo per non avere a che fare con Lotito. Ma questa, lo abbiamo detto, è una versione da diavolo. Alla Camera, dove ancora si discute di salario minimo, un funzionario, esperto di provvedimenti spiega le conseguenze: “Le società più colpite sono Roma e Lazio che hanno acquistato, e tanto, questa estate”. Chiediamo a Giovanni Donzelli, il bomber di FdI: ma in pratica questa norma viene introdotta o no? Lui: “Vicenda complessa, me ne sto alla larga. Tifo solo Fiorentina”. La vicenda è complessa a eccezione di Lotito, senatore di Forza Italia, vicepresidente della commissione Bilancio, che però, questa volta, il partito non intende seguire: “E’ una battaglia impopolare”. Come scritto dal Foglio, Lotito non è solo il presidente della Lazio, ma è l’uomo che parla con il ragionier di stato, Biagio Mazzotta, come nella canzone di Gino Paoli, “Eravamo quattro amici al bar”, oltre a essere il miglior terzino d’Italia, ovvero il difensore degli interessi delle squadre di calcio, che bene non se la passano. Salvatore Caiata, deputato di FdI, e già presidente del Potenza, sempre in doppiopetto, dice che “il calcio italiano sta marcendo, la vicenda del calcioscommesse è l’ultima mazzata. Per non parlare dei diritti televisivi venduti ai minimi storici”. E qui si passa a Salvini. Caiata non finisce di dirlo e sui telefoni arriva la dichiarazione di Salvini che consiglia a Gravina, il presidente della Fgci, di dimettersi, al che si chiede subito consulenza a Caiata. Onorevole, ma perché Salvini ce l’ha con Gravina? E lui: “Mi sembra ovvio. Gravina non ne azzecca una”. I leghisti: “Il Capitano ha compreso che il calcio, dopo la Rai, è la battaglia da fare. Formidabile”. In salvinese: la Lega punta allo sport come ha “puntato” Radio 1. Si parla di commissariare Gravina. A Salvini piace Francesco Ghirelli, presidente di Lega Pro. Lotito gli ha fatto pure il cross: “Gravina è tutelato dal Pd”. Il Pd, nonostante il consiglio antico di Palmiro Togliatti a Pietro Secchia (“E tu, pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juventus?”) in questa competizione non si qualifica neppure agli ottavi. L’unico che ne capisce qualcosa è Enzo Amendola che tifa Inter. Giuseppe Conte, di passaggio, deve gestire il suo successo (ha rilasciato una intervista al Corriere dove parla di Parlamento “brutalizzato”). A chi si complimenta per l’eloquio risponde: “Sono un esteta della parola”. Il problema è che in Italia, Dio Pallone, è una questione seria, più seria di quelle davvero serie. Alla richiesta di Salvini replica Casini, ex presidente della Camera, che si chiede: “Ma da quando in qua il governo interviene sulle federazioni sportive? Il vicepresidente ha parlato a nome del governo?”. Abodi: “Salvini ha parlato a nome della Lega”. In televisione, e questa sarebbe la storia accessoria, da giorni spopola Fabrizio Corona che fa rivelazioni sul calcio scommesse. E’ pagato dalla Rai ed è capace di lamentarsi della Rai (che lo avrebbe censurato nella trasmissione di De Girolamo) per poi dare le notizie a Striscia la Notizia. Ma questa è una storia Rai. La norma Leo, al momento, non dovrebbe prevedere agevolazioni a favore degli sportivi ed entrare a regime solo dal 16 ottobre in avanti. Sarebbe il compromesso anche se mancano ancora dei minuti prima della fine della partita, la pubblicazione della norma in Gazzetta Ufficiale. L’unico in grado di ribaltare il risultato è Lotito. Ha due cellulari. Presidente? “Riunione”. I club stanno tutti con lui. E’ La Domenica Lotito. Pure la Roma oggi tifa per la Lazio.
Carmelo Caruso