Il caso

L'agenda congelata di Meloni tra il vertice per la pace in Egitto e la missione in Israele

Simone Canettieri

Oggi tre ministri a Tunisi. Domani la premier potrebbe inviare Tajani a Il Cairo perché teme una dichiarazione congiunta troppo debole con Hamas. Intanto la missione a Tel Aviv è bloccata

“Al momento non risulta”.  L’agenda internazionale di Giorgia Meloni oscilla tra Egitto e Israele. Tra la partecipazione (rischiosa politicamente) alla conferenza di pace di domani a Il Cairo e la visita lampo a Tel Aviv (complicata logisticamente). “Stiamo valutando”, spiegano i consiglieri diplomatici della premier. L’Italia, d’altronde, può portare in dote solo il peso diplomatico di un paese del G7. “Per il resto – come spiegano a Palazzo Chigi – non abbiamo i soldi per sostenere materialmente Israele né per agevolare la pace”.  


Eppure oggi è un giorno di partenze per l’esecutivo: scatta la missione in Tunisia per cercare di resuscitare almeno una piccola parte di un accordo andato subito in frantumi, nonostante i tentativi di Meloni e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani è atteso a Tunisi in compagnia dei colleghi Francesco Lollobrigida (Agricoltura) ed Elvira Calderone (Lavoro). “Vogliamo confrontarci con i nostri partner nella regione per scongiurare la destabilizzazione dell’intero medio oriente”, ripetono dalla Farnesina. Ad attendere le delegazione italiana ci sarà il presidente della Repubblica tunisina, Kais Saied, che non poco ha fatto penare Meloni alla ricerca disperata di un’intesa, in tandem con la Ue, per bloccare le partenze dei migranti verso l’Italia. Giusto per fornire un dato: sono in tutto 92.844 gli irregolari sbarcati in Italia dalle coste tunisine dall’inizio dell’anno a ieri, in aumento del 330 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. Ma adesso tutto è cambiato.

E si è complicato, con il rischio che il mondo arabo si infiammi. Meloni, che nei giorni scorsi ha tessuto una rete di contatti per cercare di favorire la descalation, lo sa. E cerca di capire quale segnare potrebbe dare. Tuttavia oscilla. Il presidente al Sisi l’ha invitata nei giorni scorsi alla conferenza di pace di domani a Il Cairo. L’Egitto, vien da sé, è un paese chiave nel conflitto tra Hamas e Israele. Di più: ha in mano le chiavi dell’unico passaggio per far entrare nella striscia di Gaza i camion carichi di aiuti umanitari (che continuano ad accumularsi sul versante egiziano) per non parlare dei corridoi umanitari. Meloni non pensa di andare al summit, dove saranno protagonisti soprattutto i paesi del Golfo. Non solo perché perché Francia e Germania invieranno i rispettivi ministri degli Esteri e non i capi di governo e di stato. A preoccupare Palazzo Chigi è la dichiarazione congiunta finale che, visti gran parte degli attori in campo, potrebbe essere blanda e non nettissima nei confronti di Hamas. A meno che ciascun paese riesca a produrre una propria dichiarazione, lasciando cadere l’idea di parlare con un’unica voce. Sembrano dettagli, ma non lo sono per la posizione italiana. A favore di “due popoli e due stati”, ma senza remore né scusanti (i famosi “tuttavia”) nei confronti dei terroristi islamisti che hanno attaccato sabato 7 ottobre Israele. In caso di forfait è pronto Tajani. Anche perché l’ipotesi di un viaggio a Tel Aviv rimane congelata. Poi c’è tutto un fronte interno, legato alla sicurezza tra allerta e allarme. “L’eliminazione del rischio è impossibile”, ripetono i responsabili dei nostri apparati. Si possono questo sì rafforzare i dispositivi di controllo in tutti i centri sensibili, come già predisposto dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ma tra lupi solitari ed effetto emulazione si cammina su un filo sottile. Anche il Copasir è mobilitato. Ieri ha audito la direttrice del Dis Elisabetta Belloni per avere un quadro di contesto internazionale con le ricadute del nostro paese. Martedì toccherà al responsabile dell’Aisi Mario Parente, poi sarà il turno di Giovanni Caravelli (Aise). Gli argomenti che in queste ore interrogano i membri del comitato parlamentare sono tanti. Uno di questi, per esempio, riguarda la lista dei centri islamici o delle associazioni che potrebbero avere un link con gli estremisti. “Un tema che spesso viene sottovalutato da alcune frazioni politiche”, ripete da giorni Enrico Borghi di Italia viva. E che, secondo la nostra rete di intelligence, esiste. Basta in alcuni casi seguire il movimento dei soldi, ma anche le pratiche indottrinamento. In questo caso, la rete di protezione potrebbe non bastare. Ecco perché sono in corso attività mirate sui siti internet e i social network, alla ricerca di account che spargono propaganda. Discorso ancora più complesso riguarda la disinformazione e le fonti aperte. Dinamiche già viste quando scoppiò la guerra in Ucraina a opera della Russia, ma che adesso sembrano moltiplicarsi. Motivo per il quale il ministro della Difesa Guido Crosetto da giorni si dice molto preoccupato e dovendo scegliere, in un gioco surreale, tra quale fronte lo allarmi di più continua a ripetere che non ci sono paragoni: l’Ucraina è circoscritta, il mondo arabo è immenso. Immersa in questo scenario Meloni ieri è sembrata scomparire dai radar (domenica al teatro Brancaccio di Roma celebrerà un anno di governo). Intorno a lei i suoi vice giocano ruoli diversi: Tajani continua a inanellare missioni, Salvini sembra alle prese con una costante campagna elettorale calibrata sui fatti del momento. A partire dalla manifestazione del 4 novembre a Milano “per l’occidente” verso la quale la prefettura meneghina non sembra porre problemi. Al massimo potrebbe spuntare qualche prescrizione.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.