Michele Serra (Ansa)

l'Intervista

“A chi dice che Hamas ha le sue ragioni, dico di studiarsi la storia dei kibbutz”, dice Michele Serra

Marianna Rizzini

"La sinistra ha radici terzomondiste che la condizionano, nel bene e nel male. Mi domando, con apprensione, di quali strumenti dispongano le masse arabe per formarsi un’opinione. Ma non è che qui si sia messi benissimo", dice il giornalista

I quindici giorni che hanno sconvolto il medio oriente interrogano profondamente la sinistra: è come come se gli schemi del passato non riuscissero a contenere il presente. C’è chi si ferma a slogan di trent’anni fa e chi non vuole porsi il problema, ora che servirebbe uno sforzo in più per districarsi tra l’esigenza di ribadire il diritto alla sopravvivenza di Israele e il desiderio di fermare l’escalation. Che cosa dire? “L’unica risposta seria è: non lo so. Credo che non lo sappiano, del resto, anche i cosiddetti capi del mondo”, dice Michele Serra, che su Repubblica, qualche giorno fa, ha scritto che “trucidare i bambini è nazismo reincarnato”.

 

“Mi sono riletto la risoluzione dell’Onu numero 181, mai applicata”, dice Serra, “e già lì c’era scritto, nella sostanza, ‘due popoli due Stati’. In più, cosa che oggi sembra incredibile solo pensare, era stato deciso che Gerusalemme doveva diventare una specie di ‘città aperta’ sotto il controllo dell’Onu. Troppo bello per essere vero, no? Anzi: troppo giusto per essere vero. Gerusalemme non ha mai smesso di essere un casus belli. Per una città santa, è un sanguinoso paradosso”. Intanto, specie a sinistra, regna la titubanza. “Quanto alla sinistra, la condanna di Hamas è la parte facile: nessuna persona dotata di un minimo di coscienza può accettare il principio disumano che è alla base del jihadismo, fedeli contro infedeli, puri contro impuri. Chi non lo fa, non ha capito quale terribile nemico della libertà e dei diritti sia il fondamentalismo religioso in generale, e quello islamista in modo speciale. Più difficile, per la sinistra, è lo sguardo generale sul conflitto tra israeliani e palestinesi. La sinistra ha radici terzomondiste che la condizionano, nel bene e nel male. Nel bene perché non dimentica che, al netto di ogni possibile torto o ragione, i palestinesi sono fin dal principio la parte oppressa. Profughi a partire dai settecentomila fuggiti dai loro villaggi e delle loro case già nel ’48. Più poveri e più deboli nei rapporti di forza internazionali. Nel male perché trascura di giudicare con la necessaria durezza le consorterie religiose e plutocratiche che dominano tanta parte del mondo arabo. La sinistra non può mai mettere tra parentesi la questione della democrazia, rischia di perdere la sua anima”.

 

E’ come se aleggiasse però una sorta di riflesso automatico anti-israeliano presso una parte dell’opinione pubblica di sinistra, che va, sì, in piazza il giorno della Memoria, ma che fatica a riconoscere che l’obiettivo di Hamas è l’ebreo in sé. Da dove proviene quel riflesso? “L’antisemitismo è di una parte piccola e incivile della sinistra, e minaccia seriamente di collimare con l’idea dell’ebreo plutocrate tanto cara ai fascisti. Altra cosa è l’ostilità alla politica di Israele, molto più diffusa. Bisogna evitare accuratamente di confondere le due cose: l’allontanamento della storica matita satirica del Guardian per una vignetta su Netanyahu è una scellerata fesseria. I fischi e gli insulti alla Brigata Ebraica il 25 aprile sono invece una odiosa soperchieria contro combattenti per la libertà. Che cosa diciamo al gruppo di ebrei newyorchesi che hanno manifestato contro Natanyahu, che sono antisemiti?”.

 

C’è anche un tema di disinformazione o manipolazione: in alcune scuole e piazze si sovrappongono Hamas e Palestina. “Il problema delle false informazioni è drammatico. Mi domando, con apprensione, di quali strumenti dispongano le masse arabe per formarsi un’opinione. Ma non è che qui si sia messi benissimo. Ha scritto Paolo Giordano che ‘l’estremista non può permettersi di scompaginare le sue idee con la realtà’. La realtà delle cose è odiata da molti perché contraddice i propri pregiudizi, e la loro linearità. I social hanno molto aiutato a radicalizzare e semplificare le opinioni. Non è vietando le manifestazioni studentesche che si può rimediare. Bisogna fare un lavoro, disperato ma tenace, di buona informazione. Io ho ricominciato a studiare, in questi giorni, e ho quasi settant’anni. Bisogna dire a tutti di ricominciare a studiare. A quelli che dicono ‘anche Hamas ha le sue ragioni’ direi di studiarsi la storia dei kibbutz, germe di socialismo e di democrazia massacrato e stuprato da giovani miliziani che non sanno niente di niente, solo che Dio vuole lo sterminio degli ebrei. A quelli che dicono che Israele è un faro di democrazia in mezzo alla barbarie, suggerisco di documentarsi sulla storia della Naqba, l’esodo dalle loro case di settecentomila palestinesi. Molti di loro conservano, di padre in figlio, le chiavi della casa perduta. Le chiavi di casa sono un simbolo facile da capire. Più facile di Gerusalemme”.
 


 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.