Il ritratto
Bobo "il Buono". La tenerezza di Staino, il compagno che sapeva ridere anche di Staino
Più di un vignettista. Simbolo dell'Unità. Gli inizi con Oreste del Buono a Linus, il successo con Tango. L'avversione verso il giustizialismo, male della sinistra
Bobo forse su Giambruno avrebbe soprasseduto. Era stata quella, l’intuizione: un omone di sinistra, un po’ ingenuo, un po’ irascibile, molto ironico ma al di là di tutto molto buono. Umano. La morte di Sergio Staino, a 83 anni, è un ennesimo duro colpo a una generazione di vignettisti straordinaria, che a cavallo del millennio ha avuto il compito di raccontare e sbeffeggiare la prima e la seconda repubblica. Vignettisti che anche chi fa parte delle generazioni più giovani spesso conosce o ha presente, se è appassionato di politica e giornalismo, e in alcuni casi ci è affezionato. In Bobo si immedesimavano i lettori dell’Unità, gli elettori di una sinistra che dopo Berlinguer non si è mai più veramente sentita rappresentata, come se dovesse passare tutta la vita con degli abiti a volta troppo stretti, a volte troppo larghi, mai giusti. E, in Bobo, chi non era di sinistra rivedeva invece quel parente o amico a cui non è davvero mai andata giù quella caduta del muro, e che si tortura pensando, analizzando e capendo cosa potrebbe non andar bene nella sinistra, come fosse un figlio a scuola che continua a portare a casa brutti voti o a dare fuoco ai capelli delle compagne. L’anno in cui, per prima volta, questo personaggio buffo e di inscalfibile fede politica comparve su una rivista era il 1979. Staino aveva quasi 40 anni, segno che le grandi intuizioni non arrivano solo a vent’anni. A garantirgli l’esordio fu Linus, il mensile di Oreste Del Buono, che lo lanciò e lo portò poi a collaborare con l’Unità, giornale in cui Bobo sembrava essersi trovato finalmente a casa. E che finì per dirigere, nel 2016, anni in cui il quotidiano fondato da Antonio Gramsci era diventato, secondo alcuni, per uno scherzo del destino, un organo del Pd di Matteo Renzi. Stagione politica, quella dell’ex sindaco di Firenze, a cui Staino aderì, non senza polemiche e storture di nasi, e che non rinnegò neanche dopo le dimissioni da direttore dell’Unità, come testimonia una vignetta del 2018 pubblicata sul suo blog su suggerimento di un suo ammiratore, in piena stagione gialloverde, in cui la bambina chiedeva a Bobo: “Fascisti, razzisti, incompetenti. Come è stato possibile tutto questo?”. “Mi stava sulle balle Renzi”, la risposta di Bobo. A dimostrazione del fatto che verso la fine della sua carriera Staino era finito, da perfetto militante di sinistra, per essere fortemente critico soprattutto con se stesso, o con la sua creatura. Ma forse un uomo, o omone, di sinistra dà il meglio di sé quando è disilluso. E infatti uno dei suoi periodi più brillanti fu quello successivo alla morte di Berlinguer, con una sinistra spaesata e un modello sovietico che si andava a sfaldare. In quegli anni fondò Tango, un fortunato inserto satirico dell’Unità che fece da apripista al florilegio di riviste e inserti satirici degli anni ‘80, tra cui Cuore, e che per la prima volta aprì una breccia di sberleffi, critiche e caricature anche ai danni dei propri dirigenti, in un giornale che fino a quel momento era sempre stato serissimo, di partito, voce del verbo del segretario di turno. E forse questo è il suo merito maggiore. Aver contribuito alla scoperta della sinistra italiana della facoltà di prendersi in giro, di mettere in dubbio sé e i propri segretari. La vignetta stilizza i tratti ma rende umani tutti, anche i leader maximi. E così negli anni è stato possibile far crollare alcuni dogmi, come quello di una sinistra che per essere tale non può non essere manettara. “Possiamo archiviare la fase del giustizialismo. Un male enorme la cui colpa non ricade soltanto su Beppe Grillo, ma in primis su di noi, e per noi intendo la sinistra che nell’aprile del ’93 è andata al’Hotel Raphael a tirare monetine. Lì nasce l’antipolitica, da quell’ipocrisia poi diventata il grido ‘onestà-onestà’ di Grillo”, disse Staino nella sua ultima intervista al Foglio, a Marianna Rizzini.