L'editoriale

Fare quel che si deve, avvenga quel che può. Questo oggi è realismo

Giuliano Ferrara

Si dice che per evitare l’allargamento del conflitto e il coinvolgimento dell’Iran, Israele dovrebbe limitare la sua operazione Gaza e riaprire il fuoco diplomatico. Il problema è che è tardi e che la storia di questi anni va in altra direzione

Le due logiche o etiche politiche di sempre, in particolare quando la terra scoppia di ira e di dolore, e alligna la tragedia, sono queste. Calcola le conseguenze dei tuoi atti, è la prima. Fa’ quel che devi, avvenga quel che può, è la seconda logica. Il dramma di Israele e dei palestinesi è tutto qui, ma solo Israele può accomodare o fondere le due logiche in una, alla vigilia della probabile incursione terrestre nella Striscia di Gaza. Si dice che per evitare un conflitto regionale, che sarebbe un altro segmento della guerra mondiale in corso, insomma il coinvolgimento dell’Iran più o meno diretto e la fine del lungo ciclo diplomatico bruciato dalla barbarie del 7 ottobre, Tsahal dovrebbe rendere chirurgica e limitata la sua operazione Gaza, mettendo la sorte degli ostaggi di Hamas al centro dell’azione e contemporaneamente riaprendo il fuoco diplomatico e strategico sulla questione dei due stati e dei coloni di Cisgiordania.

 

Solo così si eviterebbero forse la apertura di nuovi fronti, il conflitto diretto con Teheran, l’incendio della piazza arabo-islamica e in sostanza una deriva cieca e pericolosissima in un mondo il cui disordine minaccioso è sotto gli occhi dell’occidente e di tutti. Parole in apparenza sagge e avvedutissime addirittura, che si scontrano, nell’opinione di chi le pronuncia, con il carattere del governo Netanyahu alleato con le destre “suprematiste” che soffiano con violenza sulle braci ardenti della terra occupata e colonizzata da annettere. Il problema è che è tardi, che la storia di questi anni va in altra direzione, che la leva americana e europea per ottenere simile comportamento è scarsa di fronte a un paese ferito dalla ferocia criminale fanatica degli islamisti e negazionisti del diritto all’esistenza di Israele. Di questo si rendono conto anche i sostenitori del realismo politico dell’ultima ora.

 

C’è un’altra prospettiva o altra logica. Agire liberamente, secondo il diritto di guerra ma senza farsene fagocitare, e mettere nel conto la reazione iraniana con tutte le contromisure necessarie. In sede storica la discussione sull’11 settembre americano e sulla risposta in Iraq e in Afghanistan è destinata a proseguire con poco costrutto, se ci si limiti allo schema secondo cui Bush e i neoconservatori hanno semplicemente sbagliato obiettivo dopo il bombardamento islamista di New York e Washington, sono rimasti prigionieri dell’ira del colosso ferito. E’ questa la base argomentativa di chi dice che il problema di Biden è spiegare bene a Israele che non si devono commettere di nuovo gli “errori” Usa dopo il 2001. E’ la vulgata corrente di chi si oppone all’intervento dispiegato a Gaza. Se invece si tenga conto della grande ambizione neoimperiale e democratica della controffensiva che portò all’eliminazione di Saddam Hussein e dei Talebani, e della ritirata successiva in cui culminò il tentativo di riscrivere la mappa del medio oriente, per via sopra tutto delle divisioni in occidente e della stanchezza dell’opinione internazionale e americana, insomma quel che successe con Obama presidente quando si avviò la linea della tolleranza verso le ambizioni nucleari dei mullah, del leading from behind, e del ridimensionamento dello sforzo di controinsurrezione che portò alla nascita dell’Isis e alla disperante sconfitta con Assad in Siria, il discorso può cambiare.

 

Con l’Iran in azione libera, intoccato, nulla di serio è possibile. Questo è l’argomento di chi oggi è caratterizzato come falco. L’Iran è all’origine del fronte del sud e di quello del nord, per Israele. La minaccia alla capacità di equilibrio regionale è tutta lì. A questo punto è realismo, disperante realismo, pensare che si deve agire facendo quel che si deve, aspettando e prefigurando una situazione in cui avverrà quel che può. C’è in questo un elemento irrazionale, volontaristico e pericoloso, e bisogna rendersene conto. Mettere in conto il disastro della guerra, per evitare la sconfitta senza guerra, è nella natura delle cose politiche, specie oggi, specie di fronte ai dilemmi di Israele e dell’occidente. L’idea che gli attori estremisti vogliono l’incendio e che per contrastarli si deve rinunciare ai vigili del fuoco e alla caccia ai piromani, ecco, semplicemente non tiene.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.