l'Intervista
Ecco le parole per contrastare l'ambiguità su Israele e Hamas. Parla Achille Occhetto
"Non si può avallare la confusione e la sovrapposizione tra critica al governo di Netanyahu e attacco agli ebrei in quanto tali”, dice l'ex segretario del Pci-Pds
Centomila persone a Londra, migliaia a Francoforte e a Milano, centinaia a Torino: nel fine settimana le piazze pro-Palestina, organizzate da associazioni, ma anche in alcuni casi da partiti della sinistra, si sono moltiplicate assieme agli slogan ambigui, quelli che scivolano pericolosamente verso l’antisemitismo, come se un riflesso anti-ebraico (e antiamericano) pervadesse aree politiche che pure ogni anno celebrano il giorno della Memoria, e poi rimbalzasse sul web, in un circolo vizioso di superficialità e fake news approdato anche nelle scuole e nelle università. In Gran Bretagna il ministro dell’Interno Suella Braverman ha definito “antisemiti” gli slogan della marcia di Londra.
In Francia, nonostante il divieto di organizzare manifestazioni pro Palestina, alcuni gruppi si sono riuniti per strada al grido di “Israele assassino”. Ci si domanda come, in Italia, la situazione possa essere affrontata da una sinistra che contiene al suo interno sia la spinta solidale verso le vittime del terrorismo di Hamas sia le istanze pro Palestina trasfigurate in piazza a favore di Hamas. Ne parliamo con Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci, primo segretario del Pds dopo la svolta della Bolognina e cofondatore del Pse. “Il problema che si impone oggi ai nostri occhi non è stato affrontato dal punto di vista culturale dalla classe politica, a differenza che negli anni della Prima Repubblica. Da qui il caos e l’ambiguità che portano addirittura a non distinguere tra Hamas e Palestina. Non si può avallare la confusione e la sovrapposizione tra critica al governo di Netanyahu e attacco agli ebrei in quanto ebrei”.
La scrittrice Lia Levi, intervistata ieri dalla Stampa, dice che l’antisemitismo cresce anche in Europa e che corriamo il rischio di una nuova Shoah. “Si può essere a favore del popolo palestinese senza essere antisemiti”, dice Occhetto, “e lo dico tanto più venendo da una famiglia che negli anni della Shoah ha ospitato una giovane ebrea perseguitata e avendo poi conosciuto sul campo Simon Peres e Yasser Arafat, nel corso del mio primo viaggio in Medio Oriente da segretario. Bisogna ricordare che nel 1975 l’Onu aveva adottato una risoluzione che definiva il sionismo una ‘forma di razzismo e di discriminazione razziale’. Proprio nel corso di quel viaggio, dissi apertamente che andava superata, parlando del sionismo come di un movimento di liberazione nazional in cui erano presenti componenti di sinistra, di centro e di destra. Poi, nel 1991, quella stessa risoluzione è stata cancellata”. Occhetto ricorda “la straordinaria apertura mentale di Peres e le parole dette da Arafat, parole che, viste dall’oggi”, dice l’ex segretario del Pds, “mi paiono premonitrici: in un viaggio successivo, infatti, Arafat ci aveva chiesto aiuto dicendo: ‘Se l’Occidente non mi dà una mano nella soluzione della questione palestinese, io non riuscirò più a governare le spinte eversive all’interno del mondo arabo’. Ecco, questa può essere una chiave per ripartire, visto il pericolo di uno slittamento antisemita determinato dalla drammaticità della situazione. Un suo prolungamento, con massacri e lutti dalle due parti, può portare a un’eclissi della ragione. E’ questo il momento di fare un passo avanti dal punto di vista culturale, anche per contrastare la disinformazione che permea gli slogan antiebraici”.
L'editoriale dell'elefantino