l'editoriale del direttore
Meloni un anno dopo. Identità cercasi
Per costruire una nuova Italia non basta aver fatto i conti con il passato. Serve anche il coraggio di costruire un futuro. Ai primi dodici mesi di governo manca una visione, non l’antifascismo
Aver fatto i conti con il suo passato senza avere avuto il coraggio di costruire il suo futuro. Sono passati dodici mesi dal giorno in cui il governo di Giorgia Meloni ha ricevuto la sua prima fiducia alla Camera. Dodici mesi dopo, le notizie interessanti da mettere a fuoco sono quattro e sono notizie, o meglio spunti di riflessione, che riguardano (a) ciò che è stato il governo Meloni, (b) ciò che ha rischiato di essere, (c) ciò che potrebbe metterlo in difficoltà, (e) ciò che ha tutta l’aria di essere la grande sfida che si giocherà da qui al prossimo anno. La forza straordinaria mostrata da Giorgia Meloni nel suo primo anno di governo è stata la politica estera ed è stato su questo terreno che la premier ha mostrato con maggiore coerenza la sua sorprendente attitudine a essere incoerente con le sciocchezze del passato. E’ stata tutto sommato efficace in Europa, Meloni, e l’elemento incoraggiante della sua traiettoria politica è stata la volontà esplicita, in ogni occasione chiave, di non trasformare mai il suo euroscetticismo in antieuropeismo (attenzione al debito, polemiche contenute sul Pnrr, rottura al Consiglio europeo con Ungheria e Polonia sul dossier migranti). Ed è stata molto efficace sul posizionamento internazionale e in un anno di governo, finora, la presidente del Consiglio non ha sbagliato di una virgola quando si è trattato di mettere in campo il vero antifascismo che conta: con l’Ucraina e contro il terrorismo modello Putin, con Israele e contro il terrorismo modello Hamas.
Al centro del suo posizionamento internazionale vi è la “special relationship” con l’America democratica di Joe Biden e, nonostante le recrudescenze del trumpismo, Meloni nel suo primo anno a Palazzo Chigi non si è preoccupata di apparire più vicina all’agenda Biden che all’agenda Trump (dalla difesa dell’Ucraina alle politiche ambientali). Ciò che Meloni ha rischiato di essere nel suo primo anno di governo, vista la compagnia, è evidente: far rivivere all’Italia la stagione oscura vissuta sotto l’ombrello dell’esecutivo gialloverde (uno dei vicepremier è sempre lo stesso). Ciò che invece Meloni è riuscita a non essere è tutto quello che Salvini (con la complicità del M5s) è riuscito a essere durante quella stagione: un pericolo per i conti pubblici (vedi Quota 100), un pericolo per l’Europa (vedi lo spread), un pericolo per le relazioni internazionali dell’Italia (vedi la Via della seta). Nessuno di questi pericoli oggi è al centro della traiettoria italiana, ma i pericoli che si intravedono all’orizzonte esistono e sono diversi rispetto a quelli immaginati dall’opposizione all’inizio dell’avventura dell’esecutivo meloniano. Gli avversari di Meloni temevano che questo governo avrebbe fatto rivivere all’Italia una stagione politica caratterizzata da una costante recrudescenza del fascismo, del sovranismo, del nazionalismo e dell’antieuropeismo. Nulla di questo si è verificato sui grandi temi, sui valori non negoziabili di una democrazia come quella italiana, ma qualcosa di preoccupante invece lo si può registrare se si osserva quello che è il principale problema con cui il governo deve fare i conti: programmare il futuro mostrando di avere fantasia, creatività, visione, coraggio. Il fronte economico è quello in cui il problema emerge forse maggiormente.
L’Italia di Meloni, dati alla mano, ha esaurito la spinta che aveva registrato nella stagione di Draghi e a fronte di un calo della crescita più consistente del previsto (il trend di crescita dei 20 anni precedenti al Covid era +0,2 per cento di media e l’Italia sta tornando ad avvicinarsi a quella quota) non vi è una sola idea all’interno della nuova legge di Bilancio che possa essere inquadrata come una frustata vera al cavallo dell’economia.
Si dirà che per un paese come l’Italia, che deve gestire circa 200 miliardi di euro che arrivano dall’Europa, non c’è frusta migliore dell’applicazione del Pnrr, ma i dati registrati dall’Italia nel 2023 mostrano un'attitudine del paese alla gestione dei fondi europei a cui non corrisponde un impegno totalizzante del governo nella gestione e nel monitoraggio del Piano nazionale di ripresa e resilienza (l’ultimo dato fornito dall’Istat sugli investimenti fissi lordi in Italia è pari a: -1,8 per cento; un dato deprimente se si pensa che il Pnrr vale circa 2,3 punti di pil all’anno). E’ l’economia l’elemento più traballante del governo (e alla causa non aiuta aver costruito una legge di Bilancio al centro della quale vi è la previsione che nel 2024 il debito diminuirà grazie a una crescita che il governo prevede essere più o meno il doppio rispetto a quanto previsto dalla Commissione europea e dal Fondo monetario: previsione per il 2024 del governo +1,2, previsione degli altri istituti +0,7). E, per quanto riguarda Meloni, è il suo progetto politico a ritrovarsi ora di fronte a un bivio. Il tema, qui, non è solo la classe dirigente (la valutazione di ciò che ha fatto Meloni, in questo anno, è molto diversa da ciò che ha fatto il governo: tra una Meloni e un Adolfo Urso, detto Urss, vi è la stessa distanza che separa il giorno dalla notte). E non è solo il rapporto con i suoi alleati (messaggio post “Striscia”: ha lasciato il compagno, Meloni, pensate che non possa mollare una sberla anche ai suoi alleati, se dovesse essere necessario?). Ma è la sua capacità di trasferire le sue svolte mainstream, la sua emancipazione dalla stagione nazionalista, il suo progetto di destra più moderata, su una forza politica capace di incarnare una nuova stagione.
Meloni è cambiata, è cresciuta, ha spezzato alcune catene della destra, tranne quelle del complottismo, ma non è riuscita ad avere al suo fianco un partito capace di essere all’altezza delle sfide, all’altezza delle trasformazioni, all’altezza di un compito importante: non l’occupazione del potere ma la creazione di una nuova identità. E’ possibile che tutto questo possa manifestarsi dopo le prossime europee, quando Meloni, salvo sorprese, farà una scelta di campo importante, l’alleanza con il Ppe, i liberali e il Pse per una nuova maggioranza Ursula al Parlamento europeo, svolta che potrebbe permetterle di consolidare le svolte registrate in questi mesi e respingere gli eventuali ritorni di fiamma del trumpismo nella maggioranza. Ma è impossibile non notare che senza virare verso il futuro, con un nuovo progetto capace di sostenere il cambiamento delle proprie coordinate politiche, la presidente del Consiglio continuerà a essere apprezzata per quello che fa ma non per quello che crea. La reputazione di Meloni, dopo un anno di governo, è buona. La reputazione di quello che ha messo in cantiere, no. E la sfida dei prossimi mesi, in fondo, è tutta lì: rendersi conto che per costruire una nuova Italia e un nuovo centrodestra non basta aver fatto i conti con il suo passato ma occorre avere il coraggio di costruire il futuro.