il disegno di legge
Così la maggioranza vuole cambiare la governance delle società quotate
Approvato dal Senato, ora il ddl Capitali è atteso alla Camera. Dalle regole per il rinnovo delle cariche nei consigli di amministrazione all'estesione del voto maggioritario, ecco cosa prevede
Al termine di un lungo confronto in Commissione Finanze, il Senato ha approvato ieri con l’astensione delle opposizioni il ddl Capitali, che mira a incentivare l’accesso delle imprese ai mercati finanziari ridisegnando al contempo la governance delle società quotate. Ora il testo è atteso all’esame della Camera, dove non dovrebbero però essere apportate modifiche pena il ritorno a Palazzo Madama. A far ben sperare l’esecutivo, che auspica l’approvazione definitiva del provvedimento entro l’anno, è proprio la discussione a colpi di emendamenti durata settimane in Commissione al Senato, che ha portato a un compromesso sulle due misure più delicate: la disciplina che regola la lista del consiglio di amministrazione uscente per il rinnovo delle cariche sociali e l’estensione del voto maggiorato. Un compromesso che comunque – se dovesse passare anche alla Camera – altererebbe non poco gli equilibri all’interno delle assemblee azionarie, con vistose ricadute sulle società. Se poi si aggiunge a ciò la delega che il governo si attribuisce per la riforma del Testo Unico della Finanza (Tuf), è facile intuire quale importanza rivesta il disegno di legge. Di seguito gli interventi nel dettaglio.
La disciplina della lista del cda
Sulle nuove regole che disciplinano la lista del consiglio di amministrazione uscente al momento del rinnovo delle cariche sono emerse le divisioni maggiori. Come indirizzo generale, il governo puntava a dar più peso alle liste di minoranza, tant’è che un primo emendamento al ddl Capitali prevedeva per loro una sorta di “super premio”, pari al 49 per cento del board, se queste avessero superato il 20 per cento dei voti in assemblea. Proposta che ha immediatamente suscitato le reazioni preoccupate, fra le altre, di Assonime e Assogestioni. Si è così arrivati alle misure licenziate ieri dal Senato, le quali – se validate anche alla Camera – non verrebbero cambiate nemmeno dalla riforma del Tuf, come assicurato da un altro emendamento al ddl. Quindi, secondo la nuova disciplina, per essere approvata la lista dovrà essere sostenuta da due terzi del consiglio uscente e avere al suo interno un numero di componenti pari ai candidati necessari maggiorati di un terzo. Salta perciò il “super premio”, ma la tutela delle liste di minoranza viene assicurata dalla distribuzione dei posti in consiglio, proporzionata ai voti ricevuti.
L’estensione del voto maggiorato
L’altra misura al centro del ddl Capitali è l’estensione del voto maggiorato per l’elezione del cda: consentirà di arrivare fino a dieci voti per azione, rispetto ai tre previsti attualmente dalla legge. Il moltiplicatore di voto agirà su base progressiva, andando quindi a premiare i soci leali e chi persevera nell’investimento. Sempre a tutela delle minoranze, gli azionisti contrari avranno comunque la possibilità di esercitare il recesso qualora la maggiorazione sia superiore ai due voti. Proprio il voto maggiorato è, nelle intenzioni del governo, una delle contromisure alla fuga delle grandi aziende verso altri paesi, in particolare l’Olanda, dove hanno spostato la loro sede Campari e Mediaset. Le nuove regole, se il ddl fosse approvato, dovrebbero essere recepite negli statuti delle società entro la prima assemblea del 2025. Non è un dato secondario: nel maggio di quell’anno si rinnoverà il cda di Generali, e il voto maggiorato inciderebbe sulle trattative e sul loro esito.
La riforma del Tuf
Con il ddl Capitali il governo si assicura la delega per la riforma del Testo Unico della Finanza (Tuf), la cosiddetta legge Draghi, che risale al 1998. La riscrittura delle regole si svolgerebbe attraverso una serie di decreti attuativi, in un tempo massimo di 12 mesi (non più 18, come previsto inizialmente). Se la “modalità di elezione degli organi sociali”, la disciplina della lista del cda, sarà come detto esclusa dal progetto di riforma, rimangono tuttavia possibili interventi sul voto maggiorato, che potrebbe pertanto incorrere in modifiche rispetto a quanto scritto sopra.
Le reazioni politiche
Parlando a un convengo presso l’università Luiss di Roma, Federico Freni, sottosegretario al Mef della Lega e principale promotore delle misure, ha ribadito la necessità di “stimolare il mercato dei capitali”, declinando qualunque appellativo di “sovranismo finanziario”. Le opposizioni, ieri, come detto, si sono astenute. “Abbiamo messo in sicurezza il patrimonio bancario, andare oggi a porre mano a quelle norme costituisce un rischio e un passo indietro di cui non sentivamo il bisogno”, ha spiegato la sua scelta Silvia Fregolent, senatrice di Italia viva. Mentre, a suo tempo, così aveva reagito Antonio Misiani, responsabile Economia e finanze del Pd: “Siamo davanti a un elefante in cristalleria: si rischia di rendere ingovernabili tutta una serie di cda”.