Ultima chiamata
Il divorzio del Terzo Polo: domani (forse) il giorno decisivo
Continua la telenovela terzopolista: l'ultimo scoglio, dice Italia Viva riguarda una questione di soldi. In mezzo ci sono i seggi dei senatori e i numeri che non rendono autonoma Azione. A ricoprire il ruolo dell'avvocato ci pensa il presidente del Senato Ignazio La Russa.
Nonostante la scissione dell’ormai fu Terzo Polo sembrasse conclusa, Matteo Renzi e Carlo Calenda stanno ancora discutendo sulla separazione del gruppo tra i seggi del Senato. E come per il migliore dei divorzi, anche in questo caso sembrerebbe essere tutta una questione di soldi.
Dove eravamo rimasti? Dopo le parole di Carlo Calenda alla festa del Foglio, Matteo Renzi ha avviato l’operazione per la separazione del gruppo in entrambi i rami del Parlamento. Alla Camera, dove i deputati di Azione sono 12 e quelli di Italia Viva 10, la scissione si è risolta senza screzi ed entrambi si sono costituiti gruppo autonomo (entrambi avevano infatti i numeri necessari). Il problema resta al Senato. I senatori di Calenda sono solo quattro, mentre Renzi ne conta sette. Quest’ultimi, nelle scorse ore, hanno votato per il cambiamento del nome del gruppo, che — come da esito della votazione — è stato cambiato in "Italia Viva-Renew Europe". Ad Azione la decisione unilaterale non è piaciuta: il partito non ha i numeri per costituire un gruppo autonomo e i suoi senatori, messi alla porta, non potrebbero che trasferirsi nel Gruppo misto. Così hanno segnalato la questione al presidente del Senato Ignazio La Russa: "Faremo ricorso!".
La Russa ha accolto la richiesta di Azione e ha proposto di farsi mediatore per risolvere l’impasse tendendo una mano a Carlo Calenda. Nella giornata di ieri il presidente del Senato ha incontrato i deputati dei due partiti Mariastella Gelmini e Enrico Borghi, ma dall’incontro non ne è uscito nulla se non una deadline: giovedì (domani, ndr) sarà l’ultimo giorno disponibile per mettere un punto all’intera faccenda, anche coinvolgendo la Giunta del Regolamento se necessaerio.
Italia Viva ha ringraziato il presidente "per l’impegno" ma ha confermato le decisioni prese, consapevole di avere il coltello dalla parte del manico: "Calenda ha deciso di rompere e allora ognuno vada per la sua strada in libertà". Da Azione, invece, la reazione è opposta. "Noi abbiamo dato piena adesione alla proposta di La Russa", spiegano fonti di partito. A quanto apprende l’Adnkronos da fonti parlamentarti e non confermate dal Senato, si sta cercando un punto di equilibrio tra la richiesta di autonomia di Italia Viva e la perdita dei fondi di Azione.
Se il partito di Calenda passasse al Gruppo misto, fanno notare i renziani, perderebbe circa un terzo dei fondi per via delle norme anti transfughi che sono vigore in Senato (e non alla Camera). "Facendo due conti, "andando nel Misto Calenda passa dai 550mila euro che riceve grazie a Italia Viva a circa 130mila euro annui. Questo è il motivo che spiega perché Azione è così nervosa", dicono i parlamentari di Italia Viva. Ma il partito di Calenda ne fa anche una questione di "legittimità del cambio di nome", approvata unilateralmente da Renzi e i suoi. Sull’ipotesi che i calendiani rimangano all’interno del gruppo, i renziani spiegano: "Non avranno più voce in Senato. Noi decidiamo chi parla in aula, decidiamo tutto noi perché siamo maggioranza. Calenda vuole i soldi. Per noi invece c'è una questione di principio: noi non cediamo sul gruppo perché abbiamo ragione noi. A noi interessa la politica". Appuntamento, dunque, a domani.