(foto Ansa)

il colloquio

Corrado Augias: "Il sostegno a Hamas? Sono disperato. La sinistra italiana fa piangere”

Luca Roberto

"Rimuovere il 7 ottobre e far ricadere tutte le colpe su Israele. Così la strategia dei terroristi ha fatto colpo sui progressisti”. Chiacchierata con il giornalista, scrittore e volto televisivo

Corrado Augias guarda a chi grida “forza Hamas” e lo confessa: “Sono disperato, la storia non insegna niente. Capisco che vedere delle folle di poveri con le ciabatte in mano susciti la più profonda pietà. Ma mi chiedo: chi è il responsabile di quella fuga? Perché Hamas in tutti questi anni non ha speso un dollaro per alleviare le condizioni della popolazione palestinese”. E le reazioni tiepide di certa sinistra italiana? “Mi vengono le lacrime agli occhi...”. 

 

Augias, una carriera alle spalle di oltre 60 anni tra giornali, libri e televisione, all’indomani del 7 ottobre ha scritto su Repubblica che minimizzare la disumanità degli attacchi terroristici estende la responsabilità morale degli attacchi stessi. Con chi ce l’aveva? “Con le nostre opinioni pubbliche progressiste, che tre giorni dopo gli attacchi di Hamas erano già lì pronte a dire: è tutta colpa d’Israele. Ecco, da questo punto di vista si può dire che la sottile strategia dei terroristi sia andata a segno, visto che oggi ci si concentra solo sui bombardamenti d’Israele, diventato esecutore delle stragi, o sulle dichiarazioni dissennate del ministro della Difesa Gallant che voleva interrompere i rifornimenti di acqua, carburante ed energia nella Striscia di Gaza, e ci si dimentica della ragione che ha scatenato quei bombardamenti e quelle dichiarazioni, cioè gli orrori del 7 ottobre”.

Anche da noi, qui in Italia, per esempio, una volta bombardato l’ospedale a Gaza, c’era chi aveva già attribuito tutte le responsabilità all’Esercito israeliano, senza alcuna evidenza: lo hanno fatto tra gli altri l’onorevole Fratoianni e alcuni giornali come l’Unità. “Ma io che sono molto vecchio – prosegue nel suo ragionamento Augias –, so benissimo quando tutto questo è cominciato. E cioè dopo la Guerra dei sei giorni, nel 1967. Israele era accerchiato dalla gran parte dei paesi arabi. Le radio arabe dicevano: ‘Dobbiamo ricacciare gli ebrei nel loro sangue’. Ecco, lì la fulminea vittoria di Israele cambiò il corso del sionismo. Da allora siamo stati costretti a una semplificazione tragica: da una parte i ricchi oppressori israeliani, dall’altra i poveri oppressi palestinesi verso cui bisognava solidarizzare”.

 

Un tale appiattimento, fatto in termini puramente ideologici, capace di diventare slogan agitato nelle piazze e nelle università occidentali in cui si additano le stesse responsabilità tanto al governo di Netanyahu quanto al terrorismo jihadista. “Le reazioni sono affidate a delle emozioni superficiali che ignorano ogni possibilità di approfondimento. Perché è vero che il governo di Netanyahu è stato il peggiore della storia di Israele. Ha permesso l’insediamento di 600mila persone in Cisgiordania. Anche i più miti, i più moderati, i veri sostenitori del sionismo, sono scesi in piazza contro una riforma della giustizia che rischiava, in mancanza di una Costituzione formale, di accentrare troppo potere nelle mani del governo. Ma Israele è una democrazia, e noi lo sappiamo bene che le democrazie possono portare anche Trump a diventare presidente degli Stati Uniti. E’ la debolezza del modello democratico in questa fase storica. Qualsiasi equiparazione con il terrorismo non c’entra niente”. Basta vedere cos’ha prodotto, in questi anni in Palestina, il governo di Hamas: “Hanno speso tutto per armarsi e costruire bunker. E’ stata una classe di governanti terribile, non rappresentano i palestinesi ma solo loro stessi”, analizza ancora Augias con il Foglio. 

 

Eppure, facciamo notare, le condanne nei confronti del terrorismo sono sempre troppo timide in questi giorni, ad esempio da parte dell’Onu, che preferisce ricordare a Israele di essere uno stato occupante. Condivide? “Ma ho visto che il segretario generale Guterres ha un po’ ritrattato. Certo, dovrebbe stare dalla parte della ragione. Ma è anche chiaro che debba dar conto degli umori, delle voci di corridoio che animano il Palazzo di vetro”.  A proposito di voci e di venti, sente anche lei che in Europa è in ripresa il vento dell’antisemitismo, della nuova caccia all’ebreo? “Non c’è dubbio. Perché questi venti tornano fra noi? Perché l’antisemitismo è una piaga che non si rimarginerà mai, è rimasta sotto traccia, ma non mi scordo cos’era prima del 1940, ben prima del nazismo. In Francia, nel paese dei Lumi, prima degli anni 30 del ‘900 c’è stato l’affaire Dreyfus. Temo sempre che quei venti possano tornare a spirare ancora più forte”. Lei che è uomo di sinistra, apprezza le parole di Schlein su Israele? “La prego, non voglio parlare della sinistra italiana. Mi vengono le lacrime agli occhi...”. Allora facciamo un ultimo esercizio di scenario. Come finirà la questione israelo-palestinese? “La mia agghiacciante sensazione è che non avrà alcuna soluzione. Ma la strada da perseguire a mio avviso è quella di una federazione di due stati e due popoli, ognuno con i suoi organi, i suoi costumi, ma uniti come lo sono gli Stati Uniti. Non potrà essere ammessa alcuna forma di odio, a partire da quella verso l’esistenza stessa dello stato di Israele. Israele però avrà bisogno di un altro governo”.

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