Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Pegah Moshir Pour (Ansa) 

La guerra e le parole

I civili iraniani dicono “I stand with Israel”. Parla l'attivista Pegah Moshir Pour

Marianna Rizzini

"Gli iraniani che si oppongono alla Repubblica islamica e gli israeliani vittime dell’attacco di Hamas hanno lo stesso nemico: il fondamentalismo”. Oggi a Firenze all'evento internazionale dell'area Bonaccini, mentre il Pd si ricompatta sulla guerra e non va in piazza con Conte

“Quando hanno visto sventolare allo stadio di Teheran la bandiera della Palestina, gli iraniani che si oppongono al regime hanno voluto dire al mondo da che parte stanno, con i cori contro Hamas e con l’hashtag ‘I stand with Israel’, un hashtag di sostegno alla popolazione israeliana vittima degli atti terroristici del 7 ottobre e di protesta contro la Repubblica islamica che sostiene e finanzia Hamas”. Lo dice al Foglio Pegah Moshir Pour, attivista iraniana del movimento “Donne, vita e libertà”.

 

Oggi pomeriggio, a Firenze, Pegah parlerà all’evento “L’Europa di domani”, organizzato dall’area politico-culturale dem di “Energia Popolare,” quella che fa riferimento al governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, alla presenza di esponenti di maggioranza e minoranza di un Pd ricompattato sulla guerra, non senza sforzi di equilibrismo da parte della segretaria Elly Schlein in Parlamento, prima, e rispetto alla partecipazione di esponenti dem alla manifestazione della Rete “Pace e disarmo” di ieri (“chi ci andrà, ci andrà a titolo personale”, aveva detto Schlein alla vigilia dell’evento a cui il leader m5s Giuseppe Conte aveva invece dato piena adesione). E oggi, a Firenze, interverranno, oltre a esponenti politici israeliani e a monsignor Zuppi, parlamentari e amministratori dem di varie aree: tra gli altri Peppe Provenzano, Simona Bonafè, Pina Picierno, Alessandro Alfieri, Brando Benifei, Graziano Delrio, Andrea Orlando, Simona Malpezzi, Piero De Luca, Matteo Ricci, Dario Nardella.

 

“Gli iraniani di ‘Donna vita libertà’”, dice Pegah, “portano avanti una disobbedienza civile continua nonostante gli arresti, le percosse, gli stupri. E proprio perché sanno che cosa voglia dire vivere sotto un regime, che oltretutto sostiene Hamas, hanno voluto sottolineare l’avversione per una propaganda che da 44 anni insiste con slogan come ‘morte a Israele’, descrivendo Israele come il ‘piccolo diavolo’ sostenuto dal ‘grande diavolo americano’. Gli iraniani che si oppongono alla Repubblica islamica e gli israeliani vittime dell’attacco di Hamas hanno lo stesso nemico: il fondamentalismo. E il legame con Israele è forte, nella società civile iraniana, anche perché la società civile israeliana, nel settembre 2022, ai tempi delle mobilitazioni spontanee seguite all’uccisione di Mahsa Amini, è stata tra le prime a sostenere chi scendeva in piazza in Iran. Ed è come se ora si volesse far arrivare agli israeliani questo messaggio: siete stati la nostra voce fuori dall’Iran; ora noi leviamo la nostra per voi, e contro un regime che sostiene i gruppi terroristici”.

 

Chi soffre per la mancanza di libertà, sembra essere anche il messaggio, sa riconoscere l’importanza di mantenere in vita l’unica democrazia dell’area. Eppure in molte università americane, e in molte piazze occidentali, in paesi dove la libertà c’è, volano parole di “giustificazione” per gli atti di Hamas, come se si faticasse a dare un nome alle cose, e come se non si volesse chiamare “genocidio” l’attacco del 7 ottobre contro migliaia di civili ebrei disarmati. “Proprio chi può parlare in libertà e dire la sua senza paura di essere arrestato o ucciso”, dice Pegah, “dovrebbe fare uno sforzo per guardare le cose con occhio critico, cercando di spiegare, evitando di pubblicare notizie non verificate e di far dilagare sui social immagini e parole che aumentano la disinformazione. Poi però in piazza ci sono tante persone, compresi molti ebrei che vivono fuori da Israele, che dicono questo: il popolo di Gaza paga un prezzo troppo alto; stanno pagando persone senza colpa e non legate ad Hamas”.

 

Pensa all’Iran delle proteste, Pegah, proteste riesplose dopo che la sedicenne Armita Gerevand è stata picchiata a morte in metropolitana per un velo non messo. Proteste ora travolte dalla guerra Hamas-Israele: “Chi in Iran è per il rovesciamento del regime e per la nascita di una repubblica democratica, ora, tanto più, vuol far sentire la propria voce, non essere dimenticato”. 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.