I danni dei politici populisti e quelli dei media populisti. Il caso Italia
Giornali e governanti, affetti dalla stessa miopia, sono capaci di dire una cosa e poi il suo contrario nell'arco di due giorni. Guardare al caso delle anticipazioni della legge di Bilancio
Eterno dilemma. È la cattiva politica che piega l’informazione – anche nei paesi democratici – a diventare pessima anch’essa? O è la cattiva informazione – quella che abbandona il proprio ruolo di cane da guardia del potere – a peggiorare ulteriormente la bassa sensibilità della politica agli interessi generali? Se lo chiedete a qualunque giornalista (lo è anche chi scrive) la risposta fiera sarà che difetti e follie della politica sono colpe e delitti solo suoi, non hanno alcuna correlazione con l’informazione e i media. Una difesa d’ufficio, che però non regge ai fatti. Senza scomodare il drammatico esempio del circo mediatico-giudiziario che ha ha offerto negli anni una complice, essenziale, sponda al giustizialismo e al panpenalismo che imperano in Italia tanto da aver addomesticato anche l’attuale ministro della Giustizia Nordio, osserviamo solo quanto accaduto nelle ultime 48 ore, sulle anticipazioni della legge di Bilancio.
Le stesse grandi testate che criticavano aspramente la scelta del governo Meloni di aumentare il deficit pubblico e procrastinare rischiosamente la discesa del debito sotto il 140 per cento del Pil, critiche assolutamente fondate, ieri hanno tutte sparato titoloni da “la beffa delle pensioni” a “raffica di nuove minitasse, scure sulla spesa pubblica”. Esattamente come i politici che in 24 ore sono capaci di dire una cosa e poi il suo contrario.
Perché delle due l’una. Se sei – come me – contrario ad accrescere ulteriormente deficit e debito, allora devi presentare tagli di spesa ed entrate aggiuntive come il modo per evitare che il deficit aggiuntivo passi da 16 miliardi a magari 30. Puoi e devi magari criticare su che cosa scattino gli aumenti tributari e i contenimenti di spesa. Ma non bollarli, in quanto tali, come misure banditesche: le misure rapina-futuro sono quelle che deficit e debito li aumentano, non quelle che li frenano. Se invece fino al giorno prima scrivi e ripeti che accrescere il deficit di 16 miliardi è un errore, e l’indomani spari contro misure che almeno lo fermano a quella cifra invece di raddoppiarla, allora è piena contraddizione logica. Vuoi tutto e il contrario di tutto.
Esattamente come la politica bipopulista che ci devasta da anni. Significa scambiare per diritto alla libertà d’informazione il diritto di prescindere da logica e fatti. Come può stare in piedi aver giustamente ripetuto per anni che Salvini scassava il bilancio Inps e la giustizia tra generazioni imponendo a ogni governo, a fini elettorali, nuovi e sempre più onerosi prepensionamenti, e poi improvvisamente sparare a zero sul fatto che Giorgetti-Meloni hanno finalmente, e fors’anche per forza, fatto dietrofront? Li avete visti i titoli “al lavoro fino a 70 anni,” che sono esattamente gli slogan salvineschi? O i pezzi che dipingono come attentato alle famiglie la norma per la qual chi ha visto accrescere a spese del contribuente il valore patrimoniale del proprio immobile con l’indecoroso bonus 110 vede innalzarsi al 26 per cento l’aliquota sulla vendita, se avviene prima di 5 anni dal termine dei lavori? Aliquota per altro che è la stessa che grava sui redditi finanziari, senza che nessuno vi veda purtroppo uno scandalo, visto che le cedole da titoli di Stato pagano solìo il 12,5 per cento di tasse?
La politica italiana, a destra come a sinistra, ci propone leader e partiti sin qui incapaci di manovre pluriennali che nascano da una visione seria e alta dei tanti guai cui metter mano in maniera strutturale: bassa produttività, bassa occupazione, inadeguata offerta formativa di scuola e università, politiche attive del lavoro inadeguate, costi del welfare e assistenza impennatisi senza abbattere i gap, e mentre si lavora a una continua erosione degli imponibili che aggira la questione centrale: chi li pagherà in futuro? Politica e partiti sono appiattiti su manovre dell’ultima ora basate su un solo presupposto: senza toccare la spesa di oltre 1.1000 miliardi, quanto deficit ci spossiamo permettere senza beccare la bastionata da mercati e Ue? In prospettiva, un disastro, figlio di classi politiche inadeguate. Ma i titoloni dei media delle ultime 48 ore sono affetti dalla stessa miopia.
Luigi Einaudi per anni scrisse orgogliosamente prima sulla Stampa e poi sul Corriere, fino all’estromissione di Albertini da parte del fascismo. Ripeteva sempre che il giornalista economico ha un compito simile all’economista: “Ricordare all’uomo politico che scegliere bisogna; e che nessun giudizio sulla convenienza di far qualcosa, di spendere il denaro pubblico per un dato fine può mai essere un giudizio assoluto ma è sempre un giudizio comparativo; e che in ogni dato momento, posti i mezzi in quel momento esistenti, un voto positivo a favore di un capitolo di qualsiasi bilancio pubblico o privato vuole per definizione dire un voto negativo contro un altro capitolo”. Venir meno a questo dovere significa essere correi, del fatto che non abbiamo in Italia a destra un Mitsotakis, premier greco di solida cultura economica che in questi anni ha portato la Grecia a superare l’Italia per affidabilità del suo debito pubblico, con scelte come appaltare un quarto del suo Pnrr direttamente alla Bei per evitare di non saperlo spender bene. E significa essere correi del fatto che a sinistra non abbiamo un Antonio Costa, il premier portoghese che, da socialista, ha guadagnato la fiducia di Ue e mercati anche rompendo con l’estrema sinistra che voleva più deficit e debito, e vincendo in solitaria le elezioni 2022 in cui ha conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento.