Cdm
Meloni chiude la manovra e placa Tajani. E' già premierato. I dubbi del Quirinale
Forza Italia difende la Rai (che recupera 10 milioni di euro) per far felice Mediaset. La premier fa giurare: “Nessun emendamento”. Venerdì arriva in Cdm il testo sul premierato. Serve anche una nuova legge elettorale
Roma. Il premierato di Giorgia Meloni in due parole: facim ampress. Il Cdm in agenda è durato nove minuti, il vertice con gli alleati è stato anticipato. La manovra non cambia, sulla riforma costituzionale, il premierato, si procede. Venerdì arriva il testo in Cdm. Al governo è tornata l’ora Meloni. Secondo quanto stabilito con Salvini, Tajani e Lupi, non ci saranno emendamenti alla manovra. Forza Italia si dice soddisfatta ma non può dire di aver vinto. La cedolare secca resta al 26 per cento a eccezione della prima casa in affitto. Tajani si è battuto per la Rai che recupera dieci milioni di euro. Al momento è andata meglio a Salvini.
Stiamo dunque entrando in epoca premierissima. Ieri il dl Sud è stato approvato (ancora) con fiducia. Vertici accorpati, Cdm brevi e infine il giuramento che Meloni ha preteso da parte degli alleati: “Nessun emendamento alla manovra”. Non ci crede nessuno. Erano da poco passate le 15 quando Tajani usciva da Palazzo Chigi per dichiararsi “soddisfatto” dell’incontro. Per lui la premier si è inventata l’anagrafe degli affitti, una sorte di codice per identificare i proprietari di case che affittano a breve termine. Era vero che, come spiegava Tajani, “ci permetterà di individuare il sommerso e il denaro guadagnato verrà poi utilizzato per alleggerire la pressione fiscale” ma è vero pure che toccherà ai sindaci mettere ogni cosa in pratica. Non è stata una vittoria di Forza Italia ed è da vedere se davvero non ci saranno emendamenti come hanno giurato Tajani e Salvini, Lupi e Cesa, tutti insieme per questa colazionissima dove si zuccheravano i saldi della manovra e la riforma costituzionale.
Alla Camera, non appena arrivata la nota del governo, quella dell’accordo chiuso, senza emendamenti, perfino i parlamentari di FdI spiegavano che forse “degli emendamenti di governo” alla fine ci saranno. In Forza Italia si parla addirittura di “un maxiemendamento di governo”. Tajani cosa poteva fare di più? Gasparri uno che si diverte a fare ancora il giornalista diceva che tutt’al più “abbiamo una cedolare umida”. Umida o meno, non sarà facile placare i fedayyin di Forza Italia. Giorgio Mulè che, quando si mette, sa fare opposizione meglio di Schlein, si chiedeva ancora che fine avessero fatto “la rivalutazione delle pensioni”. La manovra, il suo iter, parte dal Senato dove tutti sanno c’è sempre un Lotito. Una volta si diceva “c’è un giudice a Berlino”, ora si dice “c’è Lotito al Senato”. E poi c’è sempre la Rai, tanto per cambiare, una televisione che è trattata come una grande questione internazionale. Se ne occupa perfino il nostro ministro degli Esteri.
Tajani si è infatti battuto perché la Rai avesse libertà di manovra e ha spiegato che era sbagliato assegnare il denaro alla Rai sotto la voce investimenti. Si è deciso di scollegare il canone dalla bolletta e di finanziare la Rai attraverso la fiscalità generale, ma la verità è che si tratta solo di un esperimento per un anno. L’anno prossimo potrebbe tornare tutto come prima. Ma la Rai come scrive il suo piano industriale, senza certezze? La battaglia è ancora se garantire o meno la Rai per tre anni o solo per uno. E’ un kamasutra di interessi, almeno come lo spiegano dalla parti di Forza Italia: “Tajani difende la Rai perché così la Rai non chiede di rimettere mano al tetto pubblicitario. Così facendo Mediaset è tranquilla e Tajani pure”. La Rai che spende 74 mila euro per affittare un’automobile per la Domenica In di Mara Venier (è la cifra di un bando Rai) si è scatenata. Continua a chiedere al governo di togliere denaro dal fondo dell’editoria. Ieri la Rai ha perso anche i diritti della Coppa Italia per i prossimi tre anni, ma anche questo appartiene al futuro come il premierato, la riforma che adesso va di moda e che non conosce neppure la ministra che dovrebbe proporla, vale a dire Maria Elisabetta Casellati. La cesellano a Chigi e fa impazzire di gioia pure Salvini che l’ha definita “una riforma di buonsenso”.
Tenersi lontano dalle bozze, dopo quanto accaduto con la manovra, sarebbe salutare, ma dato che è impossibile, vale la pena riportare le poche cose sicure: via i senatori a vita eletti dal presidente. Controversa la sfiducia costruttiva, la norma antiribaltone. Al Quirinale attendono, con ansia, il testo, non la bozza, anche per capire come lavorano i giuristi di Meloni. Come saneranno la contraddizione di un premier che si vuole eletto dal popolo con un premier che la maggioranza in pratica si sceglie caduto quello eletto dal popolo? Il presidente Mattarella ne fa una questione di sostanza. Si dice “funzionalità”. Servirebbe ad esempio una nuova legge elettorale, legge anche questa oggetto del vertice. Il Quirinale non lo può dire ma chi ha contatti con il Quirinale sì: sembra una riforma rilanciata più per ribaltare il racconto che per evitare il ribaltone di governo. Sta funzionando. I costituzionalisti minacciano lo sciopero come gli autisti dell’Atac, la sinistra torna a gridare all’eversione. Meloni ha ormai capito il gioco: ieri, la Meloni premierissima aveva già cancellato una manovra da governo tecnico.