la sfida di giorgia
Meloni vuole riuscire dove tutti hanno fallito: il referendum costituzionale
La premier ci crede e punta tutto sulla riforma del sistema di governo (il premierato), per riuscire dove gli altri (Renzi, e prima ancora Berlusconi) hanno fallito: legare il proprio nome a una riforma organica della Costituzione
C’è chi parla di slogan elettorale. Chi di strategia per “coprire” le tensioni nella maggioranza attorno alla manovra. Nulla di tutto questo. Giorgia Meloni alla riforma costituzionale sulla forma di governo (il premierato) ci crede eccome. Lo aveva esplicitato ai suoi prima dell’estate, dunque ben prima di qualsiasi discussione sulla cedolare secca. La ragione è semplice, quanto audace: la riforma del premierato, per l’assenza di una maggioranza di due terzi in Parlamento, si tradurrà in un referendum costituzionale. Significherà richiamare alle urne gli italiani un’altra volta dopo le europee, per riuscire dove gli altri (Renzi, e prima ancora Berlusconi) hanno fallito: legare il proprio nome a una riforma organica della Costituzione.
Insomma, Meloni ci crede, che non farà la fine di Renzi. Il referendum costituzionale potrà anche trasformarsi, come accadde con il leader di Italia viva, in un plebiscito sulla figura del presidente del Consiglio, ma il rischio che il risultato sia di nuovo il medesimo – la vittoria del “No” e la figuraccia da dimissioni – non sfiora la mente dell’attuale premier. Che vede, invece, nel referendum un’occasione unica per fissare in maniera definitiva la propria leadership nel sistema istituzionale italiano.
In altre parole, la leader di Fratelli d’Italia, dopo la conferma dei consensi che dovrebbe arrivare alle europee, vuole sbancare. Non è un caso, d’altronde, che la premier abbia voluto svincolare l’altra grande riforma costituzionale che l’Italia attende da tempo, quella della giustizia, da quella sulla forma di governo. Troppo divisivi i temi della separazione delle carriere tra pm e giudici, e della revisione del ruolo del Csm per far parte di una manovra politica pensata per essere trionfale, grazie anche alla semplicità che avrebbe sul piano della comunicazione (“volete che il premier sia eletto direttamente dal popolo?”, sarebbe il quesito rivolto agli italiani per confermare l’introduzione del premierato).
Lo scenario è di quelli inediti per la storia politica del paese, non foss’altro che fin dal 1983, cioè fin dai tempi della prima bicamerale presieduta da Aldo Bozzi, nonostante i numerosi tentativi, mai la politica italiana è stata in grado di realizzare la tanto auspicata riforma della Costituzione, se si esclude quella del 2001 limitata ai rapporti tra stato e regioni.
Nel giugno 2006 la riforma costituzionale voluta dal governo Berlusconi, su ispirazione della Lega, incentrata su una profonda trasformazione della forma di governo (verso un “premierato forte”) e sulla cosiddetta “devolution”, venne bocciata in sede di referendum confermativo dal 61 per cento dei votanti. Uno smacco per la maggioranza di centrodestra, che comunque, due mesi prima della chiamata alle urne, era già stata sconfitta alle elezioni politiche dal centrosinistra.
Diverso il discorso per la cosiddetta riforma Renzi-Boschi. Approvata in via definitiva dal Parlamento nell’aprile 2016, la riforma puntava al superamento del bicameralismo perfetto, alla revisione del riparto delle competenze legislative tra stato e regioni, all’eliminazione delle province e alla soppressione del Cnel. Il 4 dicembre 2016, in occasione del terzo referendum costituzionale della storia repubblicana, il 59 per cento degli elettori disse “no” alla riforma, spingendo Renzi alle dimissioni. E’ questo il fantasma che aleggia, e probabilmente per sempre aleggerà, attorno a ogni ipotesi di riforma costituzionale.
Meloni, con forza d’animo e sangue freddo, sembra non aver paura di questo fantasma. Il disegno di legge di riforma costituzionale messo a punto dalla ministra delle Riforme istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati, è stato limato così da raggiungere il consenso di tutte le forze politiche della maggioranza. “La ‘riforma delle riforme’ darà stabilità al paese e restituirà centralità al voto dei cittadini con l’elezione diretta del premier”, ha detto Casellati. Venerdì il testo approderà in Consiglio dei ministri per il via libera. A quel punto la sfida di Meloni sarà lanciata.