L'editoriale del direttore
Perché la sinistra che odia Israele va contro la sua storia
I progressisti rinnegano tutto ciò per cui dovrebbero lottare: democrazia, diritti, libertà. Istantanee su un mondo al contrario
Janet Daley è una famosa opinionista inglese. È una conservatrice, scrive per il Sunday Telegraph e la scorsa settimana ha centrato un tema importante legato al conflitto in medio oriente. Un tema su cui, suggerisce Daley, dovrebbero riflettere tutte le sinistre del mondo. La questione è insieme semplice e dirompente. Quando cerca un modo per delegittimare gli avversari, buona parte della sinistra mondiale tende a trasformare i propri nemici in allievi del pensiero fascista o, peggio ancora, nazista. E grazie a questa logica, ergersi a difensori degli ebrei, fino a qualche tempo fa, significava drizzare le antenne di fronte alla recrudescenza dei movimenti di estrema destra. La logica, in teoria, dovrebbe essere ferrea: giocare con l’antisemitismo significa essere di estrema destra. E la sinistra, difendendo gli ebrei, in teoria dovrebbe difendere il proprio paese dall’avanzata delle destre.
C’è stato un tempo, ricorda Daley, in cui, per la sinistra, era automatico considerare “l’espansione della popolazione ebraica in medio oriente come una conseguenza diretta dell’Olocausto nazista una giustificazione ineccepibile”. E, scrive ancora, “se si aggiunge a ciò il modello sociale del Kibbutz, che era una forma collettivista piuttosto radicale di esistenza comunitaria, per molto tempo il pensiero liberal ha comprensibilmente idealizzato Israele, ritenendolo un esperimento socialista in qualche modo pionieristico”. Quel tempo è passato, svanito, affumato, e le ragioni sono molte e vale la pena analizzarle. Il processo di demonizzazione del popolo ebraico, a sinistra, è avvenuto attraverso uno switch, una semplice sostituzione. Le ragioni per cui gli ebrei sono stati odiati per una vita (dalla destra) vengono ora trasferite su Israele (e non sugli ebrei). E questo processo di de-antropizzazione della questione ebraica, stavamo per scrivere di de-umanizzazione, ha fatto sì che Israele sia diventato un simbolo di tutto ciò che la sinistra estremista odia nel mondo. La ricchezza, naturalmente. Il capitalismo, ovviamente. La globalizzazione, chiaramente. Ma anche l’atlantismo, da una parte, e il nazionalismo, dall’altra. “La sinistra liberale contemporanea – non solo un ignorante come Jeremy Corbyn ma anche settori del mondo accademico – ha scelto di adottare questa formula autocontraddittoria in cui gli ebrei sono dannati in quanto manipolatori globalisti della ricchezza senza lealtà verso alcun paese e, allo stesso tempo, ultranazionalisti, che insistono sul loro diritto a proteggere e difendere la propria terra. Laddove un tempo Israele veniva elogiato come l’unica democrazia progressista di successo in medio oriente, ora è criticato come un oppressore coloniale”. Vedere dunque oggi, nelle accademie, nelle università, nei circoli culturali, nei talk-show e in alcuni partiti la presenza così massiccia di soggetti di sinistra che mostrano ostilità verso Israele in seguito al più efferato eccidio di ebrei mai compiuto dall’Olocausto non è soltanto sconfortante ma è anche rivelatore di alcune contraddizioni che il Telegraph, in modo spietato, ha il merito di passare in rassegna.
Uno degli aspetti più bizzarri di questo fenomeno, di questo odio che parte della sinistra mondiale ha nei confronti di Israele, è il fatto che la stessa sinistra che ha fatto della battaglia dei diritti una battaglia cruciale, fondamentale, identitaria è disposta, in funzione anti Israele, a marciare a fianco non solo del popolo palestinese, nulla di male, ma anche degli stessi regimi, come l’Iran, nemici giurati dei diritti delle donne e delle minoranze sessuali. C’è qualcosa di grottescamente assurdo, scrive il Telegraph, nel vedere sventolare degli striscioni arcobaleno lgbtq+ in alcune manifestazioni a sostegno della causa palestinese, come è successo a Londra il 13 ottobre. Per capirci: quei manifestanti avevano idea di quale destino potrebbe attendere chiunque promuova apertamente l’attivismo gay o trans sotto i regimi fondamentalisti islamici? E quei manifestanti che hanno il coraggio di scendere in piazza a favore dei diritti ma non a favore di Israele sanno che i regimi che finanziano Hamas sono gli stessi che reprimono le donne che cercano di far valere nei propri paesi il diritto a essere istruite, ad apparire in pubblico a capo scoperto, ad avere una vita simile a quella che hanno le donne in occidente, compresa Israele? E lo sanno i liberali che scendono in piazza contro Israele che i nemici di Israele che difendono Hamas sono gli stessi sostenitori dei regimi che decretano che l’omosessualità sia punibile con la morte e che trasformano in criminali le donne che appaiono in pubblico senza hijab? Davvero l’odio nei confronti di Israele ha la precedenza sull’impegno a favore dei diritti umani fondamentali che la sinistra un tempo era impegnata a difendere? Davvero l’odio per il capitalismo – di cui gli ebrei sono considerati i praticanti esperti – può cancellare la difesa di ogni altro principio morale? La sinistra che odia Israele non è una sinistra necessariamente antisemita ma è una sinistra che ha fatto un calcolo cinico e preciso: barattare la difesa del popolo ebraico con la difesa del proprio odio verso tutto ciò che Israele rappresenta. Senza rendersi conto che non difendere Israele, oggi più che mai, significa rinunciare a difendere tutto ciò che la sinistra sostiene di voler difendere: democrazia, diritti e libertà.