L'intervento

"Siamo di fronte a un nuovo antisemitismo". Il discorso di Nordio all'Istituto di cultura italiana di New York

"L’ideale di Israele, della sua Giustizia e della sua tenacia, sono le fondamenta della nostra libertà e della nostra democrazia. Ad essa dobbiamo sostegno, gratitudine e amore". Pubblichiamo la lectio magistralis tenuta dal ministro della Giustizia in visita negli Stati Uniti

"Questo incontro è per me un grande onore. La mia ammirazione per il popolo ebraico, che ha dato al mondo tanto quanto ha sofferto, risale a oltre 60 anni fa, quando seguii, da ragazzo, il processo nei confronti di Adolf Eichmann. Negli stessi anni, studiando il violino, vidi che i dieci più grandi violinisti erano ebrei. L’ammirazione è aumentata quando ho letto la storia delle guerre giudaiche di Giuseppe Flavio, e infine, pur essendo di religione cattolica, ho studiato l’Antico Testamento.

Si dice che la cultura dell’Occidente moderno si fondi su 4 ebrei: Gesù, Einstein, Marx e Freud. Pur non condividendo queste azzardate conclusioni, è indubbio che le fondamenta della nostra civiltà poggiano sulla tradizione ebraica: per la Giustizia, questo è ancora più vero. Vorrei pertanto dividere il mio intervento in tre settori: la concezione della Giustizia nella tradizione di Israele e delle Scritture; le ragioni delle persecuzioni dopo affermazione del cristianesimo; l’attuale legislazione italiana contro le discriminazioni e l’antisemitismo.

L’ideale di Giustizia in Israele fu sempre considerato il fondamentale attributo di Jahvè. Come tale non conobbe, salvo un breve periodo di crisi, né incertezze né esitazioni. Ma proprio perché condizionato da questo presupposto religioso, questa concezione dovette evolversi, adattandosi alle particolari vicende politiche. Quando le cose andavano bene, il devoto Giudeo ringraziava il Signore. Quando andavano male, si domandava quali fossero le colpe da espiare. E poiché andarono di male in peggio, anche l’ideale di Giustizia subì profonde trasformazioni.

Se il Dio di Mosè era essenzialmente un legislatore, il Dio dei Profeti era soprattutto un giudice severo, ma nessuno dubitò mai della sua equità: Jahvè retribuiva i singoli, e l’intero popolo, secondo i meriti e le colpe. Una retribuzione che poteva esser differita, ma che entro poche generazioni sarebbe comunque arrivata. Amos, Osea e il primo Isaia tuonavano in modo quasi ossessivo contro la decadenza dei costumi, l’idolatria e l’immoralità. E quando arrivava una disgrazia, sotto forma di epidemia o disfatta militare, la risposta era facile: chi si comporta male davanti al Signore viene colpito dal suo braccio potente. Così, la stessa caduta di Gerusalemme, che Geremia contempla nel magnifico quadro di Rembrandt, fu interpretata come la manifestazione dell’irritazione divina alle scelleratezze degli ultimi sovrani. Quasi tutti gli ebrei furono deportati, ma nessuno dubitò della Giustizia del Signore.

Anzi. All’umiliazione e allo sconcerto dell’esilio, Israele reagì con la costante fedeltà al proprio Credo e alla propria coscienza nazionale. Appendendo le cetre ai salici lungo i fiumi di Babilonia, il salmista si augurava “che si incollasse la lingua al palato” piuttosto che rinnegare, cantando tra gli stranieri, il ricordo della Patria. Attese fiducioso la liberazione, e questa arrivò con la benevolenza di Ciro, il persiano conquistatore, che consentì il ritorno a Gerusalemme. Ma il rientro fu deludente: l’antica città non esisteva più, e attorno alle rovine del Tempio si celebravano nuovi riti e si adoravano altri dèi.

Fu allora, nel riedificare le strutture materiali e morali della Giudea, che Esdra, Neemia e l’intera classe sacerdotale si domandarono perché Jahvè avesse consentito una simile catastrofe politica e religiosa. Partendo sempre dal postulato che Dio è giusto, la risposta fu trovata – ancora una volta – nella disubbidienza del popolo, nella violazione del Patto. Tuttavia, la disubbidienza presuppone un catalogo chiaro di norme da seguire, e queste in effetti mancavano. Così, i nuovi reggenti redassero in modo definitivo la precettistica del Levitico e del Deuteronomio.

In tal modo nacque il legalismo degli scribi e dei farisei che modificò il concetto di Giustizia, identificandola con la scrupolosa ubbidienza alla normativa formale, alle pratiche liturgiche e alle minuziose ritualità. Fu una recessione etica rispetto all’appassionata predicazione di Amos e di Osea: ma fu una soluzione necessitata, per presidiare, con una decretazione solenne, l’identità religiosa, e quindi culturale, di un popolo disorientato e disperso.

Ma nemmeno questo fu sufficiente. La dominazione di Alessandro Magno e dei suoi successori oscillò tra una benevola tolleranza e fastidiose interferenze, finché l’arrogante laicismo di Antioco Epifane provocò nel II secolo a. C. una reazione militare. Giuda Maccabeo vinse e morì da eroe, e Händel lo coronò di un Oratorio tra i più solenni della storia musicale. Per qualche decennio il popolo di Israele godette dell’indipendenza, ma fu un fuoco effimero. Le divisioni interne lacerarono il Paese, che ritornò presto sotto il dominio straniero, finché Pompeo, profanando il Tempio così faticosamente ricostruito, sigillò con l’arroganza blasfema la sconfitta finale.   

Fu in questi decenni che l’ideale di Giustizia parve crollare: confuso e deluso il Giudeo cadde nel pessimismo sofferente, e si raccolse in un rassegnato e sfiduciato individualismo. Nacquero così i due libri più belli e singolari dell’Antico Testamento, che ancora oggi rappresentano le domande e le consolazioni della dolente umanità: Giobbe e l’Ecclesiaste. Alla ribellione del primo, afflitto da punizioni immeritate, corrisponde l’amaro scetticismo del secondo, convertitosi a un disilluso e solitario egotismo.

La reazione di Israele a questo scacco devastante non fu particolarmente vigorosa, ma fu originale. L’equazione tra Dio e Giustizia, apparentemente contraddetta dalla scandalosa iniquità delle sorti umane, fu convertita in una visione escatologica, che rinviava la resa dei conti a un mondo trascendente. Israele cominciò a ripudiare il concetto di un’esistenza individuale limitata nello spazio e nel tempo, e affidò i destini dei singoli mortali a una risurrezione riparatoria. Una soluzione che nondimeno rimase circoscritta al popolo giudaico, e non assunse quel vasto respiro che conferisce alla Giustizia divina un valore universale ed eterno. Sarà Gesù, dopo le prime esitazioni, a proclamare con la propria funzione messianica, e il vicino avvento del Regno di Dio, un Giudizio finale fondato sull’etica dei due comandamenti del giudaismo rabbinico: l’amore di Dio e del prossimo. E sarà Paolo a completarne la portata, ammettendo in questo regale banchetto tutti i giusti della Terra, circoncisi e gentili, se avranno creduto nella parola del Signore.

Il trionfo del cristianesimo, attraverso la sua adozione da parte dei tardi imperatori romani come religione dello Stato, invece di favorire la situazione del popolo ebraico, del cui ideale il cristianesimo era una sorta di continuazione se non di integrazione, ne provocò l’emarginazione e la persecuzione. Questo fu dovuto essenzialmente a due fattori. Il primo, l’incapacità della Chiesa romana di ammettere il mantenimento da parte dei giudei della loro religione dopo l’avvento di Cristo: quella che per gli ebrei era una doverosa coerenza fu interpretata dalla Chiesa come un’ostinazione irragionevole e blasfema.

Il secondo fattore fu la concezione del “deicidio”, cioè esecuzione capitale del figlio di Dio attribuibile al Sinedrio o addirittura all’intero popolo giudaico. La frase evangelica: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” è stata riconosciuta dalla moderna critica neotestamentaria come un’evidente interpolazione, incompatibile con la procedura penale romana. Tuttavia, essa ha determinato per secoli un’attitudine dei cristiani verso gli ebrei di rancore e persino di odio, sfociati nell’isolamento nei ghetti e in intollerabili persecuzioni. Fu una macchia indelebile della nostra civiltà: innanzi tutto perché le eventuali colpe sono sempre personali, e non possono esser trasmesse alle generazioni successive. E poi perché Gesù fu giustiziato dai romani, per una imputazione romana (crimen lesae maiestatis e sedizione), davanti a un giudice romano, con una procedura romana, con una motivazione della sentenza romana (INRI, Iesus Nazarenus Rex Iudeorum) e infine con una pena esclusivamente romana – la crocifissione – assolutamente estranea alla legislazione ebraica. E tuttavia ancora oggi vi sono larghe fasce di cattolici che addebitano agli ebrei la morte di Gesù.

Se attraverso i secoli queste persecuzioni ebbero carattere vario, oscillando tra una blanda tolleranza e una crudele repressione, nei giorni nostri, intendo durante il fascismo, essa raggiunse il livello vergognoso delle leggi razziali, modellate su quelle – peraltro ben più scellerate – di Norimberga, e determinate da una pura emulazione servile di Mussolini nei confronti del dittatore tedesco.

Le sofferenze degli ebrei in Italia raggiunsero il culmine dopo l’8 settembre, quando il governo Badoglio diventò cobelligerante con gli alleati, e i nazisti divennero i padroni della parte del Paese non ancora liberata. La grande retata dell’ottobre del 1943 a Roma costituì una vergogna incancellabile, ma fu superata da quelle della mia Venezia alcuni mesi dopo. La deportazione dal Ghetto romano fu infatti operata esclusivamente dalle SS tedesche, pur rifornite degli elenchi dei residenti consegnati dai fascisti. Quelle di Venezia furono invece eseguite dai miliziani della Repubblica di Salò, che spedirono ad Auschwitz 246 persone, tra cui vecchi, bambini e persino neonati.   

Qual è ora, dopo tante tragedie, la situazione degli ebrei in Italia?   

Dopo l’adozione della Costituzione Repubblicana, elaborata da politici e intellettuali, gran parte dei quali avevano sofferto l’esilio e la prigione durante il fascismo, la libertà di culto e l’assoluta uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini è affermata e attuata, in modo solenne e rigoroso. È ormai quasi banale affermare che gli ebrei sono – direbbero i romani – “cives optimo iure”. E tuttavia rimangono molti pregiudizi, alimentati da due forze radicalmente opposte: da un lato dei rigurgiti neonazisti di odiosa aggressività ma di scarsa consistenza numerica, e di nessun seguito popolare. Dall’altro, una non trascurabile ostilità verso quello che viene chiamato “imperialismo sionista”.  

Qui la situazione è molto più delicata, perché le reiterate affermazioni di solidarietà con il popolo palestinese e l’invocazione della costituzione di un suo Stato sovrano, nascondono spesso un odio verso lo Stato di Israele e il disconoscimento del suo diritto a una sua esistenza sicura e a una sua autodifesa efficace.

Soprattutto in questi giorni abbiamo assistito a manifestazioni di solidarietà con gli abitanti di Gaza, senza ricordare che in quel territorio sono detenuti dei civili rapiti contro ogni legge umana e divina durante un’azione di guerra decisa e attuata proprio da chi vi esercita la sovranità. In questi cortei non si è udita nessuna parola sui bambini decapitati, le donne violentate, persino i cadaveri vilipesi, come se aggressore e aggredito fossero sullo stesso piano.

Questo disgustoso atteggiamento psicologico non è motivato dalla preoccupazione per la sorte del popolo palestinese, che, come ha sottolineato la nostra premier Giorgia Meloni, è una delle vittime del terrorismo di Hamas che non vuole la pace. Esso, temo, è determinato proprio dall’ostilità verso il popolo ebraico: siamo cioè di fronte a un nuovo antisemitismo di matrice postcomunista e antioccidentale che, anche nel caso dell’Ucraina, vede il suo nemico unicamente nella nostra civiltà liberale, di cui Israele è parte costitutiva e fondamentale.

Da più parti si sono levate voci per impedire queste manifestazioni. E questo ci porta alle considerazioni finali, e credo le più importanti, di questo incontro: la legislazione attuale italiana nei confronti dell’antisemitismo.

Per quanto riguarda le manifestazioni, esse sono, secondo la nostra Costituzione, libere: in teoria non serve nemmeno l’autorizzazione, ma soltanto il preavviso al questore, che può negare il permesso per gravi motivi di incolumità o di ordine pubblico. Di conseguenza è impossibile impedire preventivamente le riunioni pubbliche, anche se è presumibile che nel loro ambito si introducano elementi sovversivi o violenti.

Esistono tuttavia delle leggi che limitano questa libertà. La prima è la Legge Scelba del 1952, che vieta l’apologia del fascismo. Essa costituisce l’attuazione di una disposizione transitoria della Costituzione che vieta la riorganizzazione del partito fascista; riorganizzazione che può essere stimolata anche attraverso manifestazioni pubbliche, scrissero i giudici, “idonee ad impressionare le folle”.

La seconda, e più importante, è la legge del 25 Giugno 1993 cosiddetta “Mancino” (dal nome del ministro proponente), che punisce come delitti la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere atti fondati sulla superiorità etnica o religiosa. La stessa legge aggrava le pene nei confronti di chi incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali etnici nazionali o religiosi.

Importante è l’articolo 2, che punisce con la reclusione fino a tre anni chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni o gruppi che incitino a queste forme di odio o di violenza. Con una disposizione particolare, essa punisce fino a due anni chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è aumentata.

Come si vede, si tratta di una legislazione estremamente severa e rigorosa, che tuttavia, incide nella repressione, più che nella prevenzione di queste manifestazioni di odio. Di conseguenza, salvo il caso di una manifestazione preannunciata a favore di Hamas (cosa che nessuno farà mai) l’unico rimedio contro eventuali apologie o dichiarazioni di sostegno a questa famigerata organizzazione terroristica può avvenire solo in via repressiva, attraverso l’intervento della magistratura e l’insaturazione di un processo penale. 

Ritengo che ogni iniziativa volta a vietare preventivamente queste riunioni, sarebbe annullata dalla nostra Corte Costituzionale. A parte questi limiti, è evidente che la nostra legislazione a tutela delle attività antisemitiche è estremamente rigorosa, ed altrettanto severamente viene applicata.

E tuttavia esiste un pericolo: che nel sottobosco culturale di un pacifismo a senso unico fioriscano e si estendano i germi perniciosi di un nuovo razzismo più subdolo di quello grossolano e grottesco enunciato da Mussolini alla fine degli anni Trenta. Quel razzismo che, attraverso la sciagurata alleanza con Hitler, portò intere famiglie alla deportazione e allo sterminio rischia di ripresentarsi oggi sotto le mentite spoglie di una equidistanza tra Israele e Hamas, tra aggrediti e aggressori, tra fanatismo e democrazia.

È un’operazione iniziata sin dalla costituzione dallo Stato di Israele, con l’aggressione da parte dei Paesi confinanti, malgrado la risoluzione dell’Onu e il riconoscimento, prima di tutto dall’Urss, della sua sovranità. Ma esso si è accentuato con l’affermarsi del radicalismo islamico, il cui odio verso i nostri valori si è saldato con l’ostilità nostalgica di antichi nemici delle democrazie occidentali. Il governo italiano ne è consapevole, e così, speriamo, il resto dell’Unione Europea. Certamente lo sono gli Stati Uniti, che costituiscono la garanzia assoluta dell’integrità di Israele.

Quando, alcuni anni fa, visitai Gerusalemme, acquistai una T-shirt dov’era raffigurato un F16 con la scritta 'America, don’t worry: Israel is behind you'.

Militarmente può sembrare – ed effettivamente lo è – un paradosso. Ma dal punto di vista etico e culturale esso rivela una grande verità: l’ideale di Israele, della sua Giustizia e della sua tenacia, sono le fondamenta della nostra libertà e della nostra democrazia. Ad essa dobbiamo sostegno, gratitudine e amore.                

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