Augusto Minzolini (foto Ansa)

Fare la fine di Renzi o no

Giorgia, chi te lo fa fare? Minzolini sui rischi del referendum sulla riforma

Marianna Rizzini

“La premier dovrebbe mettere in conto che sta sì presentando una riforma, ma che poi si voterà sul suo governo: se il referendum dovesse svolgersi in un momento in cui il governo gode del favore dell’opinione pubblica tutto bene, altimenti c'è il rischio di essere giudicati non per la riforma, ma per altro", ci dice il giornalista

Il disegno di legge per la riforma costituzionale che dovrebbe introdurre l’elezione diretta del premier si staglia all’orizzonte dell’agenda parlamentare e non solo, mentre fuori dal Parlamento si moltiplicano le riserve preventive nel campo diviso del centrosinistra (e non solo). “Madre di tutte le riforme”, l’ha chiamata la premier, annunciando di volerla “consegnare” agli italiani.

I critici dicono: questa forma di governo non è mai stata azzardata in nessuna democrazia occidentale. E, visti i precedenti fallimenti dei tentativi di riforma costituzionale, con disastro politico dei promotori, la premier si è sentita domandare: se perde, si dimetterà come Matteo Renzi? Meloni risponde che no, non si dimetterà perché la sorte del suo governo è disgiunta dal referendum, ma l’esempio del passato – con possibile slittamento di significato della consultazione, facilmente tramutabile in giudizio sulla premier, incombe sotto forma di monito e interrogativo: referendum, ma chi glielo fa fare? “Per un partito come Fratelli d’Italia la sfida delle riforme istituzionali è una missione, e il tema dell’elezione diretta del premier fa parte del dna del partito”, dice Augusto Minzolini, già direttore del Tg1, senatore con Forza Italia (fino al 2017) e direttore del Giornale, poi conduttore di “Stasera Italia weekend” su Rete4. “C’è poi l’elemento contingente: intraprendere questa strada, per Meloni, vista una congiuntura economica difficile – situazione che non è detto possa migliorare a breve, per giunta nel quadro di guerra in Medio Oriente – rende paradossalmente sulla carta più raggiungibile il traguardo della riforma. Ma le variabili lungo il cammino possono essere tante, quindi non ci si può permettere di assumere una posizione senza calcolare i rischi. Bisogna insomma sapere di essere al centro di una partita complicata, da giocare con cautela e tenendo conto dell’esperienza fatta da altri in passato”.

Meloni però ha appunto ostentato sicurezza: una cosa sarà la riforma, una cosa il governo. Sarà possibile scindere? “La premier dovrebbe mettere in conto fin da ora che sta sì presentando una riforma, ma che poi si voterà comunque sul suo governo: se il referendum dovesse svolgersi in un momento in cui il governo gode del favore dell’opinione pubblica tutto bene, ma se dovesse arrivare in ore difficili, perché magari si è consumato il credito rispetto all’elettorato, beh, allora si correrebbe il rischio di essere giudicati non per la riforma, ma per altro”. E’ uno scenario inevitabile. “Ci sono tre possibili strade per evitarlo, a mio avviso”, dice Minzolini: “O fai una riforma condivisa, ma vediamo già l’effetto dell’annuncio su un’opposizione ricompattata all’idea di poter fare una campagna su quella che verrebbe presentato come ‘svolta autoritaria’: strada molto in salita, anche perché il centrosinistra così risolverebbe il problema della propria non-unità. Oppure, seconda possibile soluzione, dovresti prendere a modello una forma di governo già esistente in una democrazia occidentale, in modo che sia più difficile essere accusati di favorire svolte autoritarie, ritornello già presente appunto nei commenti della prima ora. Terza via: presentare un progetto coerente e chiaro, originale, e difenderlo senza orpelli e senza cedere a compromessi: la riforma dovrebbe allora essere in sé uno slogan. Slogan chiaro per la governabilità e la stabilità, con chiare garanzie. Devi insomma esplicitare, e se questa riforma può portare con sé, di conseguenza, anche una riforma dal lato della presidenza della Repubblica devi dirlo, facendo una scelta ed essendo molto convincente su  proposta e meccanismi di garanzia. Ci si ricordi, poi, anche rispetto ai propri alleati, che quando si parla di riforma ‘antiribaltone’ lo si fa in uno scenario di meccanismi politici ancora legati al passato. E potrebbero cambiare gli equilibri nella coalizione, di fronte a questo. Insomma, il rischio c’è ed è grosso, non soltanto per Meloni: se giochi e perdi, come recuperare poi la credibilità rispetto alla riformabilità di alcune istituzioni che vengono già in parte considerate non riformabili? Ma capisco che, nella non prevedibilità del quadro economico e internazionale, la premier voglia dare l’idea di agire, e di agire per il paese, e possa decidere quindi di puntare su questo”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.