Giorgia, chi te lo fa fare?
Meloni al referendum? “Precipitoso”, dice Galli della Loggia
"C'è qualcosa che sfugge, qualcosa di irragionevole", dice lo storico ed editorialista del Corriere della Sera
“Il punto è che se la consultazione non va bene, si viene in qualche modo sconfessati dal corpo elettorale chiamato a decidere su un punto fondamentale del programma con cui si è stati eletti, appunto. E si è politicamente obbligati ad ammettere la sconfitta, per non smentire se stessi”, dice lo storico ed editorialista del Corriere
C’è la premier Giorgia Meloni che corre veloce verso la riforma costituzionale e verso il successivo referendum, e c’è tutto un mondo, non soltanto a sinistra, che proprio attorno al miraggio-spettro del referendum (a seconda dell’occhio che lo guarda) accorre. Ma non per sostenerla, anzi, quanto per prepararsi, così pare dai movimenti in primo piano e sottotraccia, a colpire in caso di sconfitta nelle urne. “E’ presto per parlare, ci vuole coraggio a mettere in cantiere questa riforma, gli italiani apprezzeranno”, dicono i sostenitori di Meloni. “Rischio involuzione democratica”, è il rimando da sinistra. “Attenta Giorgia”, è il monito dei moderati del centrodestra. Chi glielo fa fare, a Meloni? verrebbe da dire, visto il numero di critiche e riserve preventive che stendono una lunga mano sul futuro della consultazione e della premier. “C’è qualcosa che sfugge, qualcosa di precipitoso e irragionevole”, dice lo storico ed editorialista del Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia. “L’esigenza di rafforzare l’esecutivo è sacrosanta, ma una revisione costituzionale sarebbe meglio farla concordandola a monte con l’opposizione, come metodo per il presente e come strategia per il futuro. A mio avviso sarebbe stato più opportuno e utile discuterla con i partiti di centrosinistra ancora prima di andare in Aula”. Invece Meloni qualche giorno fa ha detto: la riforma sul premierato “l’ho fatta”, “spero di avere il consenso in Parlamento”, ma comunque la “consegno agli italiani”. Perché? “A volte un capo politico può sbagliare, e in questo momento Meloni sente la riforma come una priorità, al punto da investire sull’obiettivo con tutta se stessa, nonostante la delicatezza della materia, mettendosi così sulla buona strada per commettere lo stesso errore di Matteo Renzi”. Meloni però ha detto che non farà come Renzi, non si dimetterà perché sta “solo realizzando il programma” con cui è stata eletta e che altra cosa è il destino del governo. “Il punto è che se la consultazione non va bene, si viene in qualche modo sconfessati dal corpo elettorale chiamato a decidere su un punto fondamentale del programma con cui si è stati eletti, appunto. E si è politicamente obbligati ad ammettere la sconfitta, per non smentire se stessi”. Quindi Meloni dovrà fare come Renzi, premier ipercinetica come l’ex premier, pur se dal centrodestra invece che dal centrosinistra? “La cifra di Renzi era una sorta di progressione cinetica a prescindere. Meloni, io credo, è come se si fosse sentita forte in un preciso momento, forse in un quadro di do ut des sull’autonomia differenziata con la Lega. Le due cose marciano insieme. Ma ci si ricordi che in Italia le coalizioni sono spesso culla di traditori potenziali. Detto in altre parole, mi domando: lei si impegnerà alla morte sul referendum, ma i suoi alleati si impegneranno alla morte come lei?”. “Molto dipenderà”, dice Galli della Loggia, “anche da come verrà formulato il quesito. E’ un punto cruciale, questo: un conto è presentarsi davanti agli elettori con un testo di otto righe incomprensibili, un conto è un quesito secco e chiaro. Altro problema che si intravede in potenza, il fatto che non si potrà non riservare un ruolo di primo piano al ministro che con Meloni ha presentato la riforma: Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ecco, temo possa aprirsi una sorta di baratro comunicativo. Per presentarsi davanti agli elettori con una riforma costituzionale serve competenza, precisione ed empatia. Casellati non mi sembra molto empatica, e le parole e i toni sono molto importanti”.